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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Marillion - Holidays in Eden
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07/08/2021
( 2333 letture )
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Se ci si soffermasse sui numerosi dischi dei Marillion, ci si accorgerebbe di un aspetto piuttosto interessante. Nonostante per molti di essi non venga modificata la formazione in studio e l’impronta del sound della band rimanga ben salda, la discografia complessiva risulta essere sì coerente ma anche piuttosto altalenante. Un Seasons End, per esempio, può essere giudicato senza timore di smentita come uno dei picchi di questa montagna russa -comunque non così singhiozzante, sia chiaro-, un disco davvero ben realizzato con spunti geniali e ben realizzati. Ora, d’altro canto, ci ritroviamo a parlare di una produzione di altra fattura, ossia di un Holidays in Eden sicuramente meno ispirato seppur comunque piuttosto piacevole. Allora trattare una band come i Marillion vuol dire trattare una band capace di evitare -nella quasi totalità dei casi- delle opere scadenti nel senso puro della parola, ma senza garantire, d’altro canto, che ogni loro opera messa sugli scaffali sia un must del genere. Un difetto? Più che altro una riflessione che nel corso degli anni appare sempre più corroborata dall’ascolto ravvicinato delle loro opere. D’altronde di formazioni capaci di garantire una qualità stabile dei propri dischi non ne è pieno il mondo e i Marillion risultano una sinusoide senza cali degni di nota.
L’ascolto si apre con un buon pathos, o almeno con la sua anticipazione. Splintering Heart è un brano che sino all’esplosione non stupisce ma ammalia, dando il meglio di sé nel pieno della sua energia di batteria e chitarra. Le parti soliste, unite alla coerenza delle varie parti del brano, donano un buon appeal all’offerta, peccando però in originalità melodica, seppur in maniera piuttosto lieve. Decisamente meno convincente è invece la seconda Cover My Eyes (Pain and Heaven), aperta da una grancassa maestosa ma sviluppata con un songwriting piuttosto blando e sezioni troppo orecchiabili, conoscendo di cosa è capace la formazione. Di tutt’altra pasta la successiva traccia, finalmente più coscienziosa grazie al suo inizio di piano e l’apertura in un 4/4 bello diretto. Il basso di Trewavas si fa valere durante l’assolo melodico di Rothery; il protagonista è però il riff alle pelli verso la fine, un vero e proprio passaggio strepitoso. Strofa-bridge-ritornello-assolo con rispettive chiusure speculari è lo schema che seguono anche No One Can e la title track: se la prima appare simile alle altre tracce come qualcosa di piuttosto piatto ma comunque tutto sommato più che ascoltabile, è Holidays in Eden il pezzo che finalmente propone partiture intelligenti, con lunghi bridge, ritornello perfettamente funzionante e tastiere incredibili. Una canzone perfetta? Non di certo, ma il groove sostenuto e la sezione finale profonda finalmente fanno pensare che questo disco abbia offerto nel lontano ’91 del progressive rock degno di essere chiamato tale. Peccato che il tutto si perda nuovamente in Dry Land, una proposta dello stesso sound già sentito poc’anzi e ripetuto ancora e ancora. L’assolo è carino, è indubbio, ma se si cerca qualcosa di nuovo si può già saltare a piè pari nella ballad -nonché settima traccia- Waiting to Happen. Cinque minuti coerenti con un buon giro di accordi e il giusto bilanciamento tra il sentimento e la parte strumentale. L’assolo poi, in tutto il suo melodismo privo di fronzoli barocchi, è incantevole e si pone sul gradino più alto delle parti soliste del disco. This Town, The Rake’s Progress e l’ultima 100 Nights costituiscono invero un unicum piuttosto interessante. La prima si apre con delle sirene delle forze dell’ordine che si uniscono direttamente al vero attacco, ossia una sezione massiccia di rock pomposo sorretto da bellissime tastiere e impianto armonico calcolato con eleganza. Il tutto si ricollega a un intermezzo ispiratissimo, ipnotico con linee vocali davvero di classe e un’atmosfera costruita con attenzione ai dettagli. L’arpeggio di elettrica e la sezione ritmica sono ciliegine di questi due minuti che portano direttamente ai sette minuti conclusivi. Ci troviamo qui in un sound potente, con fill di batteria notevoli e un attacco dell’esplosione davvero convincente, ma l’acme viene raggiunto dall’assolo accompagnato da un Mosley fuori di testa: solo questo momento vale l’intero ascolto del disco, senza dubbio. Un passaggio onirico a carico di tutti gli strumentisti ci porta poi alla conclusione, con grande soddisfazione rispetto alle premesse della prima metà del disco.
Come detto in apertura, è difficile trovare una linea qualitativa piuttosto coerente nella discografia dei Marillion e questo disco ne è la prova vivente. Nonostante però una qualità complessiva che risulta “solo” discreta, e un songwriting meno ispirato e piuttosto prevedibile nei pezzi meno energici -salvo per la ballad ben riuscita-, questo lavoro non si lascia né dimenticare né ricordare, se non per qualche eccezione. Su dieci pezzi almeno tre sono davvero memorabili (specialmente l’ultimo), gli assoli praticamente tutti calzanti e la produzione a carico di Christopher Neil sa valorizzare il lotto. Aggiungiamoci una copertina ben concepita e l’assenza di brani davvero mal pensati e otteniamo quasi 50 minuti che di certo non ci portano alle orecchie i veri Marillion, ma che tutto sommato riescono a soddisfare soprattutto orecchie meno esigenti, ma non solo. Consigliato? Se non avete nulla da riascoltare in queste torride settimane estive… non è una cattiva scelta di certo, altrimenti, potendo rivolgersi altrove, proprio gli inglesi hanno saputo stupire e meravigliare con lavori precedenti.
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18
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Nella scaletta qui a destra manca la titletrack. Che poi è il brano più debole dell\'album.
Album che col passare del tempo sto sempre più rivalutando. |
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17
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Anche se è un album pop e io adoro solo l'era Fish, per me questo lp è stupendo |
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volevo essere equilibrato
per dire, preferisco Vigil a brave. |
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@angus71, Brave incluso... |
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14
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disco da 75 ma, personalmente, fan sfegatato dell'era fish. poi grandissima band e grandi dischi ma non al livello dei primi 4. brave escluso |
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13
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Mi piace moltissimo... nulla di male nel voler essere un pò più commerciali... la CLASSE rimane intatta! |
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12
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Chissà se ad andarsene fosse stato Rothery piuttosto che Fish. La carriera solista del cantante, come dice testamatta al commento 7, parla abbastanza chiaro. Si parlerebbe di una band morta e sepolta da tipo una trentina d'anni...la abbozzo là, eh... |
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11
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Per me , invece, i Marillion sono quelli con Fish alla voce.
Il dopo Fish può essere, per tanti, qualitativamente migliore.Non lo metto in dubbio.
Ma non sono i Marillion.sono un altra Band.
Come non sono i Black sabbath quelli con Dio alla voce, che tra l'altro adoro;oppure i Deep purple era Coverdale-Hughes.
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10
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vi volevo ringraziare per avermi fatto scoprire questa gemma dell'era Hogarth . |
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9
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Mi accodo al pensiero di @Testamatta ride e di @Rob Fleming. Nulla da dire sui 4 dischi incisi con Fish, li amo visceralmente, su tutti l'esordio (che è uno di quelli col botto), come scrissi a suo tempo sotto la recensione. Tuttavia, discutere sull'effettiva qualità dei dischi con Hogarth (ma sul serio?) è oltremodo puerile e, dopo oltre 30 anni di permanenza nella band del "secondo" cantante e più di una decina di dischi sfornati, un quesito del genere perde di senso e significato in partenza. Questo "Holidays..." a me piace, e non poco, ed è il preludio a "Brave", che di quel decennio è uno dei pesi massimi. Giusto per far capire la grandezza e l'eclettismo della band. |
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8
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Potessi farlo abbraccerei @Testamatta perché ha scritto quello che penso da anni. Per me quello che va da Brave a Marbles è nettamente superiore ai primi dischi (Misplaced escluso). In questo disco ci sono grandi pezzi come Splitering Heart, 100 nightclub emozionanti come poche. Mi piacciono tantissimo anche Waiting to happen, The party e la dura In this torna. Il resto è pop, ma di quello fatto proprio bene. 77 |
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7
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Buon album, non al livello di altri ma assolutamente non da buttare. E come potrebbe essere altrimenti drl resto. Alcuni ottimi pezzi ed altri sottotono. Le considerazioni di Aceshigh nel commento #5 racchiudono, direi, perfettamente quella che potrebbe essere una valutazione equilibrata. Non concordo, invece, con Jake #6 pur rispettando, naturalmente, la tua opinione. Anche se tu ne parli solo implicitamente (o magari ho frainteso io, per carità...ma qualcuno l'aveva già scritto, mi pare, nei commenti precedenti) devo dire che, secondo me, l'annosa questione sulla distinzione tra era Fish ed era Hogarth è ormai stucchevole ed inutile. Hogarth è nella band da ormai più di 30 anni (contro i 5 di Fish) ed è assurdo che, come spesso leggo, gli si rinfacci ancora l'indiscussa bellezza degli album con Fish (che poi, diciamocelo, Fish non è Peter Gabriel e la sua carriera solista non ha lasciato, tutto sommato, un segno indelebile) e una fantomatica successiva e graduale involuzione del gruppo dopo l'abbandono del vecchio leader. Come dicevo i 4 album con Fish sono ovviamente bellissimi e li amo ma i Marillion di Fish - questo è un mio parere basato sia sul gusto che sull'emozione procuratami (parametro, secondo me, imprescindibile) non hanno mai raggiunto il livello di, per esempio, dei famigerati Brave o Marbles e ci metto anche l'ultimo bellissimo FEAR. |
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6
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dopo l'ottimo esordio musicalmente parlando con Seasons End i marillion di Hogart furono penalizzati dal nuovo produttore , quello dei norvegesi A-AH, che storpiò le partiture originali . con brave tornò il vecchio produttore...e si vide...holiday fu una grandissima occasione persa...i Marillion anche cambiando totalmente genere ressero fino a This strange engine...poi solo un paio di pezzi (anche capolavori come Ocean cloud) ad album..ma la magia era finita...e purtroppo ...the jester is dead |
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5
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Per me è un ottimo disco, anche se ho dovuto da sempre prendere atto che a tanti non è andato giù. Cronologicamente incastonato tra Seasons End e Brave, non posso dire che sia a quei livelli, ovvio. Holidays in Eden in più di qualche frangente è (volutamente?) orecchiabile, tendente al commerciale, ma ad avercene di pezzi pop-rock come No One Can… Ci sono giusto un paio di brani che non mi dicono granché, ma il resto per me è di gran qualità. Anzi, aggiungo che ad oggi ascolto più volentieri questo che alcuni album post-Marbles, sempre di grandissimo livello artistico, ma tendenti al mappazzone. Voto 82 |
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4
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Quoto kevinthrash.
Il disco precedente, il primo senza Fish, lo ascoltai molto ma questo fu una vera delusione...o almeno per me. |
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3
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disco gradevole e band pregevolissima. Ma per me iMarillion sono Fish. Dopo un latra fantastica evoluzione, ottima band, ma il top per il mio gusto rimane nei dischi con Fish. |
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2
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Un ottimo esempio di miscela tra prog e pop. Voto 80. |
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1
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Sicuramente non il loro disco di punta, ma un disco molto gradevole a tratti pop a tratti progressive, il tutto sempre di alto livello qualitativo; non è Brave e non è Marbles, ma si fa ascoltare ed anche riascoltare.
Non sono appariscenti ma bisogna dire che nei ,oro disco non c'è mai una nota a sproposito o fuori posto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Splintering Heart 2. Cover My Eyes (Pain and Heaven) 3. The Party 4. No One Can 5. Dry Land 6. Waiting to Happen 7. This Town 8. The Rake’s Progress 10. 100 Nights
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Line Up
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Steve Hogarth (Voce) Steve Rothery (Chitarra) Mark Kelly (Tastiere) Pete Trewavas (Basso) Ian Mosley (Batteria)
Musicisti ospiti Christopher Neil (Cori e produzione)
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RECENSIONI |
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