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HOLLYBLOOD - # 21 - The Killing of a Sacred Deer
30/10/2018 (1304 letture)
La tragedia vuole che sappiamo che l’esistenza umana è di per sé una provocazione o un paradosso; ci dice che le intenzioni degli uomini spesso s’infrangono contro forze inspiegabili e distruttive, forze che stanno all’esterno eppure vicinissime. Chiedere agli dei perché proprio Edipo sia stato scelto per soffrire il suo destino o perché Macbeth abbia dovuto incontrare le streghe sul suo cammino, è come chiedere ragione o giustificazione alla notte. Non c’è risposta.
(Steiner)


Schiere di guerrieri sono radunate in Aulide, Beozia, pronte a salpare per Troia, desiderose di vendicare il rapimento di Elena perpetrato da Paride. Sebbene un tale antefatto possa far immediatamente pensare alla narrazione dei poemi omerici, costituisce allo stesso tempo la materia mitologica dal quale sgorga l’ Ifigenia in Aulide (Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι), incompiuta tragedia di Euripide andata in scena -per volontà di un parente prossimo non ancora identificato- nel 403 a.C., quale parte di una trilogia comprendente Le Baccanti ed Alcmeone a Corinto . La tragedia è dischiusa da una situazione di imbarazzante impasse: una bonaccia difatti costringe a terra i fieri guerrieri e l’unica maniera per placare l’irritazione degli dei sarebbe, a detta dell’indovino Calcante, il sacrificio alla dea Artemide di una delle figlie di Agamennone, Ifigenia. Quest’ultima verrà condotta in Aulide con un inganno -una promessa di matrimonio- nel solco di una macabra commedia degli equivoci risolventesi inaspettatamente con la salvezza della ragazza. Il candido collo della ragazza difatti, scompare, tra lo stupore dei presenti, lasciando il posto ad una cerva sacra, il cui sacrificio porterà il vento a soffiare di nuovo, permettendo agli eroi di salpare verso Troia.

Ed è proprio dal topos del capro espiatorio a prender le mosse la più recente fatica di Yorgos Lanthimos (basata su una sceneggiatura ad opera dello stesso Lanthimos, coadiuvato da Efthymis Filippou). Chiunque abbia una certa familiarità con l’opera del regista greco, avrà bene a mente la passione dello stesso per gli intrecci inquietanti, al limite dell’assurdo e dello straniante. The Killing of a Sacred Deer racchiude questi elementi in una narrazione costantemente in bilico tra l’orrorifico ed il drammatico, il grottesco ed il tragico, lo scientifico ed il soprannaturale. Sia ben chiaro, l’intento di questa breve trattazione non è certo trattare con dovizia di particolare gli spunti psicanalitici e metaletterari dischiusi nella pellicola, bensì soltanto suscitare l’attenzione e l’interesse dei lettori verso un lavoro di indiscutibile pregio.

A dischiudere l’onirico intreccio è un campo operatorio, mostrante un intervento a cuore aperto con feroce realismo, mentre a restare per contrasto sullo sfondo è lo Stabat Mater di Schubert. Sin dall'inizio vi è dunque il crudele gioco tra un costante rinvio ad una dimensione ieratica e salvifica, ricercata e quasi invocata e lo spaesamento dei protagonisti, gettati in una dimensione di sconfinato horror vacui nella quale non c’è spazio alcuno per grazia e misericordia, dotato della stessa nettezza chirurgica e spietato candore asettico delle stanze d’ospedale che vengono mostrate nella pellicola. Alla scena introduttiva segue difatti la narrazione del legame apparentemente enigmatico tra Steven (interpretato da Colin Farrell), cardiologo di successo, ed il giovane Martin (Barry Keoghan -molti ne ricorderanno la meravigliosa performance in Dunkirk). Apprenderemo ben presto che Steven tenti, mediante doni e gesti soltanto superficialmente affettuosi, di compensare simbolicamente un errore medico da lui connesso, costato la vita proprio al padre di Martin. Ed è probabilmente proprio per orgoglio, e necessità di non turbare il borghese equilibrio di una famiglia talmente bella da sembrare uscita da uno spot pubblicitario (composta dalla moglie di Steven, impersonata da una splendida Nicole Kidman, e due figli, Bob e Kim) che Steven ha taciuto del tutto ai propri cari l’inquietante vicenda. Tutto ciò sembra reggersi sul crinale di un equilibrio inquietante, sino al momento in cui Bob, il figlio minore, inizia ad accusare i sintomi inspiegabili di un morbo non diagnosticabile; si tratta difatti di una maledizione, scagliata dallo stesso Martin, in virtù della quale l’unico modo per evitare che tutti i familiari di Steven soccombano tra temibili sofferenze, l’uno dietro l’altro, è che il cardiologo scelga tra di loro un capro espiatorio, un agnello sacrificale da immolare per sanare il torto compiuto. Una sorta di rivisitazione della legge del taglione imbevuta di sensibilità greco-pagana e biblica. Ed è proprio qui che ha il proprio inizio il disturbante vortice di tensione costituente il cuore pulsante dell’intera opera, le cui sembianze sono volta in volta sapientemente delineate dalla fotografia di Bakatakis, schizoide e geniale al medesimo tempo. Il nucleo magmatico attorno al quale si dipana la semplice quanto lisergica vicenda è la famiglia che da rifugio rassicurante assurge a luogo dello scabroso e dell’osceno dal quale non vi è possibilità di fuga o di salvezza. Memorabili è difatti la scena in cui Steven, nel folle tentativo di operare una scelta razionale tra i suoi due figli, consulta gli insegnanti per tentare di scoprire quale tra i due potrebbe esser considerato il “migliore”:

Counselor: “Bob is very good at math and physics. Kim is very good at literature and history. They’re both a little restless, but they’ve never been rude to the staff.”
Steven: “If you had to choose between them, which would you say is the best?”


Come in un gioco ad incastro, il counselor fa riferimento all’abilità scrittoria della figlia maggiore Kim, che avrebbe composto uno splendido elaborato sull’Ifigenia in Aulide. O ancora, l’agghiacciante considerazione della moglie, Anna, la quale ritiene corretto sacrificare la prole, in quanto essendo ancora in età fertile, sarebbe potenzialmente in grado di “rimpiazzarne” almeno uno. La soluzione dell’enigma e lo scioglimento della maledizione non potranno dunque che avere un esito altrettanto straniante, in grado di mettere a disagio e far piombare nel turbamento anche lo spettatore più avvezzo a simili pellicole. Nel consigliarvi dunque la visione di un dramma psicologicamente intricato quanto raffinato ed impeccabile nella precisione, vi lasciamo con una delle citazioni più incisive e conturbanti della pellicola:

A surgeon never kills a patient. An anaesthesiologist can kill a patient, but a surgeon never can.



GT_Oro
Mercoledì 31 Ottobre 2018, 18.59.41
6
Non lo so… l'ho visto proprio l'altro giorno. se da un lato mi è piaciuta molto l'interpretazione di tutti (quasi tutti, la Kidman mi rimane sempre una bambolina antipatica e monoespressiva), dall'altro… E' quel genere di film che mi trasmette quella spiacevole sensazione in cui il regista, a ogni fotogramma, mi dice in un orecchio "guarda quanto sono bravo"... a questo aggiungo il fatto dello zoom lento che è presente in moltissime scene e che mi ha creato un po' di mal di mare. Però l'idea, nella sua semplicità, non è male.
nonchalance
Mercoledì 31 Ottobre 2018, 10.55.40
5
@No Fun: Sì, questo. "Gummo"..altro paio di maniche!
No Fun
Martedì 30 Ottobre 2018, 16.39.07
4
@Noncha, che ragazzino che mangia gli spaghetti?! o_O ce n'è uno in questo film? No perché... mi fa venire in mente la scena col bambino che mangia gli spaghetti nella vasca in Gummo di Harmony Korine, film "sludge" assurdo anche quello e che, tra l'altro, non può mancare in questa rubrica per via della colonna sonora black metal spettacolare!
nonchalance
Martedì 30 Ottobre 2018, 14.01.59
3
@No Fun: Discolaccio! Anche il ragazzino che mangia gli spaghetti merita attenzione.. 😅
No Fun
Martedì 30 Ottobre 2018, 12.54.58
2
Grazie Costanza per questo articolo, lo vedrò sicuramente, mi ha proprio incuriosito! Del regista ho visto Kynodontas, fuori di testa, e un altro film greco dove ha fatto l'attore, Attenberg, non male anche quello ma di genere diverso. (anche @noncha mi ha incuriosito con sta cosa del "particolare modo di farlo...")
nonchalance
Martedì 30 Ottobre 2018, 12.04.59
1
Intanto, c'è da dire che è un'opera (quella è..) non tanto "facile": nel senso che, può anche non piacere a tutti. Tutti 'sti "ragellamenti" - dopo un po' - potrebbero venire a noia..complice anche la "abbastanza disturbante" colonna sonora dark/ambient! Detto ciò, io ho apprezzato proprio perché ti porta in dei meandri che non ti aspetteresti. E, da cui è talmente impossibile uscirne (grazie ad opportune scelte registiche) che, alla fine, non si vuole nemmeno sprecare il tempo per pensarci! Certo, bisogna anche essere preparati a certe esperienze in cui si vuole esser guidati > della serie "vediamo dove vuole arrivare" _ Oltre al particolare modo di farlo dei due, in camera da letto ho avuto modo di notare anche un certo richiamo alle finestrelle di "Amityville Horror"! Ah, la mia ragazza non ha gradito per niente..
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