Ci è voluto del tempo per elaborare un articolo dopo le emozioni contrastanti scaturite dalla visione di questo IT - Capitolo Due di Andrès Muschietti. Non nego di essere rimasto positivamente colpito dal primo capitolo, che era riuscito egregiamente nell’impresa non banale di svecchiare la storia, surclassando la miniserie televisiva del 1990 che vedeva un ottimo Tim Curry nei panni di Pennywise. Il risultato è stato ovviamente possibile grazie alla convincente prova di Bill Skarsgård nei panni del villain a metà tra l’inquietante e il grottesco, ma soprattutto ad una regia tutto sommato lineare, capace di dare il giusto risalto al background dell’infanzia dei singoli protagonisti. Capirete pertanto, dopo un adattamento più che buono, quanto le mie aspettative fossero, se non altissime, in attesa di un secondo capitolo all’altezza del precedente.
Per questo film Muschietti ha alzato nettamente la posta in gioco, fornendo un adattamento cinematografico ambizioso, labirintico, ipertrofico, dove accade davvero di tutto in un continuo pastiche tra horror, comicità, tratti grotteschi e tanta nostalgia in un viaggio alla scoperta delle proprie paure sopite e, in secondo luogo, di sé stessi. Il regista argentino ha privilegiato la psicologia dei protagonisti ormai cresciuti, cercando coi numerosi flashback di andare alla ricerca dei traumi infantili dei Perdenti -episodi traumatici sopiti e nascosti, ma mai affrontati o sconfitti- che torneranno a tormentare i nostri con effetti ancora più devastanti una volta divenuti adulti. Non è un caso per esempio che il più sensibile e fragile del gruppo, Stan, decida di suicidarsi per non dover rivivere l’incubo della propria infanzia. Alle versioni adulte di Bill, Bev, Mike, Ben, Richie e Eddie viene lasciato ampio spazio durante il film, specie verso la metà della pellicola, quando il gruppo si divide in un viaggio personale in quei luoghi che hanno originato i propri mostri infantili. La strategia narrativa è sempre la stessa, macchinosa e ripetitiva forse, ma certamente necessaria ed efficace nel rendere il racconto comprensibile: ogni membro del gruppo è protagonista di un personale flashback in cui rivive i propri incubi e ha uno scontro preliminare e in solitaria con IT, metafora della paura stessa incarnata attraverso diverse forme, in attesa della resa dei conti finale. Se è evidente e nell’economia complessiva del film necessario l’ampio spazio lasciato alla psicologia dei personaggi, è altrettanto deludente l’impiego di Pennywise, qui in verità mai davvero terrificante, ridotto a una macchietta. In particolare nella lunga sequenza dello scontro finale dove la regia perde di mordente e soprattutto dove il pagliaccio di Derry non fa mai davvero paura. Ciò nonostante Bill Skarsgård risulta essere nel complesso un ottimo interprete, più teatrale del predecessore Tim Curry, ma in questo capitolo rimane l’amaro in bocca per un attore ed un personaggio che potevano e dovevano essere sfruttati meglio.
Tra un flashback e l’altro è ampio lo spazio lasciato ai momenti incentrati più sulla suspense e sulla tensione che sulla paura in senso stretto e, come era prevedibile, anche qui come per il primo capitolo vengono costruiti ad hoc tramite il massiccio e sistematico ricorso ai jump scares. Il risultato è altalenante, dato che alcune sequenze ben riuscite, costruite su un buon timing -come per esempio la scena in cui Pennywse divora una bambina durante una partita- si alternano ad altre decisamente più banali e scontate -come quella che vede protagonista Eddie nel retro della farmacia. Anche qui il difetto principale è dovuto alla ripetizione dello stesso espediente narrativo poi reiterato per tutti i Perdenti, che nel film vengono perseguitati dai propri incubi sia nei flashback da giovani sia, in modo abbastanza prevedibile persino per chi non è un fan scafato del genere horror, nel presente. Per carità, non c’è mai nulla di veramente noioso, però una maggiore varietà nel costruire le situazioni sarebbe stata gradita. Per concludere cos’altro dire? Il vero problema di questo film è la banalizzazione del rito di Chud, qui ridotto ai minimi termini come semplice espediente narrativo. Un semplice atto che fornisce un mezzo per sconfiggere Pennywise, brutalmente privato di tutta l’atmosfera onirica -e anche un po’ lovecraftiana- presente invece nel romanzo di King. A dimostrazione di questo infatti la parte peggiore del film è tutta concentrata negli ultimi tre quarti d’ora, quando i Perdenti si recano ai Pozzi Neri per la definitiva resa dei conti con IT. Uno scontro tanto spettacolare negli effetti quanto alla fine poco memorabile, che affossa la pellicola in un prodotto di qualità appena sufficiente.
Per tirare le somme dunque, IT - Capitolo Due si muove tra alti e bassi. La pellicola alterna buoni momenti ben confezionati e capaci d’intrattenere, nel complesso godibili e trascinanti, a pecche clamorose che consistono nel ripetere con lo stampino gli stessi schemi, dilatando la narrazione oltre misura e, in alcuni casi, mostrando il fianco a momenti privi di mordente per non dire anonimi. Se confrontata con il primo capitolo della mini saga, questa seconda parte si rivela pertanto essere complessivamente inferiore, principalmente perché privo di quell’aura inquietante che aveva contraddistinto il primo film e quindi un mezzo passo falso che difficilmente soddisferà i fan di Stephen King.
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