Gamer rappresenta la deriva della società, dove tutti sono concorrenti, estrapolati dalla vita vera e calati in una realtà programmata, costruita e cruenta, dalla quale non si esce mai davvero vincitori ma solo assuefatti.
PREMESSA
In un futuro prossimo e non così lontano -il 2034- la società è ormai sempre più preda del consumismo ludico. I videogiochi, così come li conosciamo, sono ormai merce sorpassata. Tutto deve essere realistico, deve rispondere sempre ai bisogni più reconditi del vizio umano. Non ci si accontenta di giocare, si vuole letteralmente vivere il proprio videogame, in maniera diretta o attraverso un alter ego. Non si parla dei possibili cloni di Second Life, ma della trasposizione pratica di quell’idea: far provare ad altri quel che non si può o non si vuole realizzare in prima persona.
LA STORIA
In una società dove l’unica regola è vendere a ogni costo, Ken Castle ha costruito una fortuna immensa. E’ stato l’ideatore di un reality game la cui particolarità è la seguente: creare avatar umani. In questo modo ognuno ha il potere di gestire una persona in carne e ossa attraverso il proprio computer. Questo esercizio di possesso viene ad esplicarsi attraverso comandi imposti dal giocatore nei confronti del proprio alter ego umano; gli si può far fare di tutto, ma all’interno di una cittadella costruita appositamente, nella quale si esercitano svariate forme di vizio suggerite dalla fantasia. La trovata ha un successo mondiale e Castle diventa un tycoon al cui confronto gli attuali Gates e Murdoch parrebbero venditori di noccioline. Lui però, da vero squalo del commercio, striscia tra i bisogni peggiori dell’essere umano, ne fiuta l’odore acre, non conosce tregua, non ha morale e mette tutto in pratica. Il suo ego, unica cosa di dimensioni superiori al patrimonio accumulato, lo porta a creare un nuovo game, di guerra. Si muore, davvero e in maniera brutale. Ogni giocatore ha a disposizione un galeotto che, comandato attraverso il computer, dovrà affrontare veri e proprio scenari di guerra, in cui si avranno a disposizione armi reali e mortali per eliminarsi. Chi resiste a trenta round di guerra avrà in premio la vita. Il nuovo gioco è un successo planetario, tutto il mondo è sintonizzato per la diretta di ogni una nuova battaglia. Non c’è spazio per le riflessioni, la gente vuole vedere, vuole godere dello show. Il realismo, il sangue, la patria potestà sul destino umano sono qualcosa su cui Castle ha costruito il proprio impero, ma nello stesso tempo hanno partorito una variabile impazzita: Kabel, un detenuto che come gli altri ha una sola prospettiva per vedere condonata la propria condanna a morte... sopravvivere. Kabel è nella medesima situazione degli altri protagonisti, ma ha un’arma in più: è capace ed è determinato ad arrivare fino in fondo, almeno quanto lo è colui che lo comanda, un ragazzino di diciassette anni. Insieme affrontano le battaglie, il primo rischiando la pelle, il secondo governandone le azioni. Entrambi vogliono arrivare alla fine ma accade l’imprevisto. Kabel, nel corso dell’ultimo truculento scontro, riesce ad evadere dall’area di combattimento attraverso l’aiuto di un non meglio precisato fronte di liberazione, si distacca dal controllo multimediale del ragazzo e cominciando ad agire in prima persona, si mette alla ricerca della moglie e della piccola figlia.
I PROTAGONISTI
C’è n’è per tutti i gusti, basta che siate appassionati di volti noti. Michael C. Hall, il protagonista dell’innovativo Dexter, in questo caso risulta poco credibile; oltremodo cinico, sembra infatti essere la controfigura del proprio personaggio. Kyra Sedgwick, cardine di rara bruttezza estetica del buon Closer, in questo caso non è aiutata dal personaggio e quindi rimane -ahinoi- sola con le proprie fattezze fisiche. Gerald Butler (Kable), dopo quel 300 che l’ha lanciato nell’epica parte di Leonida, sembra non riuscire a sbarazzarsi del sempiterno ruolo dell’eroe muscolare; in più vi è un corollario di attori dal volto più o meno noto che recitano degnamente il copione, anche se non lasciano il segno. Quel che colpisce negativamente è la sceneggiatura: dialoghi noiosi, in alcuni casi infantili e prevedibili, rovinano una buona idea iniziale. Per fortuna a salvarsi è la fotografia, il dinamismo di alcune immagini e la qualità della scenografia, complice anche un budget sicuramente alto per un film che poteva essere realizzato meglio; la regia si limita ad eseguire un compito prefissato senza però dare carisma ad una storia che sarebbe potuta essere ben più avvincente. Se non altro non ci si annoia troppo.
CONCLUSIONE
Gamer è un buon film? In parte, ma solo per amanti del genere. L’idea di base, malgrado appaia prevedibile, è affascinante: la riflessione che potrebbe suscitare è migliore della visione stessa. Una società stanca di vivere mostra il suo lato peggiore, attecchita dalla ricerca di desideri sempre più insani; si mostra in tutti i propri difetti e dominata da un egoismo di massa tifa, strepita e si sente unita solo verso lo spettacolo macabro che le viene offerto; non c’è niente che riesca a distoglierla da quella smania perché è solo in quel modo che l’insieme di individualismi riesce a darsi una parvenza sociale. Castle è un cinico affarista -vero- ma peggio di lui sono tutti coloro che seguono lo show senza perdersi una puntata. I galeotti sono vittime consapevoli, provengono dal braccio della morte e quindi non hanno scelta. Si può però ammettere uno Stato che commisuri il condono di una pena capitale alla sopravvivenza in uno spettacolo televisivo? Certo, sembra suggerire la storia, a patto che questo produca moneta contante. Dall’insieme ne emerge una lotta tra condannati: da una parte gli spettatori, dall’altra i detenuti -governanti e governati- entrambi dipendenti dal gioco, tutti “gamers”, estrapolati dalla vita vera e calati in una realtà programmata, costruita e cruenta, dalla quale non si esce mai davvero vincitori, ma solo assuefatti.
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