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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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SPECIALE 2009 - Death, Prog, Metal Core, Folk, Industrial
06/01/2010 (4618 letture)
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Cari lettori, ma soprattutto care lettrici (non me ne vogliate maschiacci, ma la vita è fatta di priorità), quante volte avete letto e sentito: "un'altro anno è passato...". Suppongo diverse, il tutto ponderato al vostro grado di saggezza, ma soprattutto ai giorni che vi portate sul groppone (quelli, aimè, amici miei non ve li toglie nessuno, nemmeno il migliore dei chirurghi estetici). I miei iniziano a non essere pochissimi e, mi verrebbe da dire, che il tempo delle mele oramai è alle spalle da un pezzo. Terminati, almeno per ora, i luoghi comuni, è dato di fatto che la conclusione di un viaggio porta riflessioni su ciò che è stato e, non da meno, quel che sarà. Lungi da me generalizzare, ma il 2009 è stato un anno che, in un modo o nell'altro, tutti ricorderemo. Accantoniamo la cronaca - tanto ogni media ci ha saturato le cervella - e veniamo alla nostra amata dimensione musicale.
Gli affecionados sanno bene che per MetallizeD il periodo appena trascorso è stato cruciale: grandi cambiamenti, azioni che hanno portato a quello che riteniamo essere un importante salto di qualità. Non voglio cantare le nostre lodi, soprattutto in questa sede, in quanto percepiamo questo "piccolo" passo come il principio, o meglio una sorta di nuovo inizio. Continuate a seguirci perché non mancheranno sorprese.
Abbiamo deciso di inaugurare il 2010 con l'oramai consueto speciale di fine anno. Ma oggi la formula è cambiata, o meglio evoluta, in sintonia con la rivoluzione che ha interessato la nostra redazione. Indi per cui seguirà un unico articolo che ha coinvolto tutta la Death In Progress e i generi che usualmente i nostri eroi affrontano con coraggio e perizia. Tengo a precisare, a scanso di equivoci, che il suddetto non ha alcun valore enciclopedico, ma è un compendio delle release che, a detta dei miei stimati collaboratori, in un modo o nell'altro hanno segnato i 365 giorni da poco congedati. Di conseguenza onori e meriti per tutti i gruppi che hanno ben figurato, così come non mancheranno ulteriori critiche a tutti coloro che hanno deluso le aspettative. Del resto è tradizione buttare (metaforicamente) qualcosa di vecchio giù dalla finestra, la notte di Capodanno, per salutare l'anno che finisce così da dare il benvenuto a quello che arriva con una rinnovata iniezione di fiducia.
Non mi resta che lasciarvi alla lettura dell'articolo, non prima di aver ringraziato tutto lo staff per l'ottimo lavoro svolto (e non mi riferisco esclusivamente al qui presente), augurando a tutti voi un meraviglioso 2010 all'insegna delle vostre amate note, ovviamente in lieta compagnia di MetallizeD.
introduzione di: Luca Chieregato "Arakness"
DEATH
a cura di: Nikolas De Giorgis "Agent Orange" e Andrea Manzi "Maiden 1976"
Dopo un 2008 esaltante, il death metal si conferma nel 2009 uno dei generi trainanti dell'intera scena metal mondiale, segnando ancora il passo con uscite stupefacenti per quantità e qualità.
Sono stati dodici mesi di grandi ritorni, di conferme e di piccole sorprese, a partire dalla più gradita e fenomenale di tutte: Obscura. La band tedesca ha letteralmente impartito una lezione di stile nel panorama techo-death -che da qualche anno ci riserva moltissime gradite sorprese- con il capolavoro Cosmogenesis. Il terreno fertile del technical death ci permette però di goderci altre graditissime uscite: dal sensazionale Everything Is Fire degli Ulcerate -che si contendono il titolo di disco dell'anno con i tedeschi di cui sopra- agli italianissimi e schizofrenici Infernal Poetry, che con lo splendido Nervous System Failure si confermano una delle band nostrano più interessanti in ambito anche internazionale; ma non finsice qua, perché anche se la loro catalogazione risulta compito arduo, i Between The Buried And Me non possono essere lasciati da parte, avendo anch'essi consegnato alla storia un gran disco, fatto come al solito con la solita mastodontica dose di classe e tecnica, nonché condito da influenza variegate che confermano la band in questione come una delle più interessanti e particolari attualmente in giro. Sconfinando maggiormente nel progressive, spicanno gli Scar Symmetry di Dark Matter Dimensions , ormai una realtà da tempo consolidata e apprezzata a 360° da varie frange di ascoltatori.
Si continua: come dimenticarsi dei meravigliosi Hypocrisy, certo non così tecnicamente esasperati -in senso buono- ma comunque autori di brani quadrati e molto convincenti all'interno del graditissimo ritorno di A Taste Of Extreme Divinity, o ancora di un altro immenso comeback: quello degli Unanimated, che a quattordici anni di distanza dall'immenso Ancient God Of Evil si confermano imprescindibili fautori di un death metal contaminato di black in maniera immensa; In The Light Of Darkness è un disco old-school, che sa di swedish death con punte black come pochi altri.
Ma non è tutta tecnica quella che pulsa nelle vene del death metal: la morte parla anche e soprattutto attraverso dischi diretti, violenti e monolitici: ecco allora la pesante riconferma degli Asphyx, guidati dal magnifico Martin Van Drunen dietro al microfono, che bissa il gran successo ottenuto l'anno precedente con gli Hail Of Bullets -di cui quest'anno abbiamo potuto apprezzare il buono ma limitato EP Warsav Rising- con l'odierno Death... The Brutal Way. un manifesto al death nudo e crudo di matrice europea suonato da parte di una delle band che in questo campo ha fatto scuola. Grande conferma anche da parte dei Necrophobic, autori di un oscuro e potente Death To All, e dei polacci Behemoth, ormai un'istituzione della scuola death/black, in grado di far gridare al miracolo con ogni disco: Evangelion non tradisce le aspettative e consegna ai fan del combo di Gdansk un altro piccolo gioiellino. Nelle braccia del death metal più violento si confermano imprescindibili anche i Vomitory di Carnage Euphoria.
Chi cerca invece buoni propositi per il futuro, non può non guardare con soddisfazione ad Isolation Songs secondo valido full-lenght dei finlandesi Ghost Brigade così come all'ormai ottima consacrazione dei Nightrage, al quarto centro in quattro uscite.
Lanciandoci verso lidi più estremi, non possiamo non notare che ormai qualche anno il grindcore vive un periodo strano: la sostanziale chiusura stilistica del genere, unita al proliferare di band clone di dubbio valore ha portato ad un movimento spesso sterile e privo di veri scossoni, sufficiente per gli amanti del genere ma che manca dell'appeal necessario per fare breccia nel cuore dei neo-metallari.
Così questo 2009 appena finito mette in mostra luci ed ombre di un genere difficile e spesso di nicchia: grandi nomi tornano alla ribalta, nomi nuovi colpiscono, ma altri affossano la media qualitativa con lavori frettolosi e sommari.
Parliamo di grindcore e quindi, inutile negarlo, parliamo di loro: Napalm Death e Brutal Truth. Due mostri sacri hanno illuminato l'anno metallico: i primi si confermano in una fase creativa di tutto rispetto, grazie a Time Waits For No Slave, disco che prosegue il trend positivo di Smear Campaign, accentuando componenti thrash che variano il sound storico della band portando ad una seconda giovinezza che fa ben sperare per il futuro. Per gli americani si tratta invece di un'uscita molto più pesante: Evolution Through Revolution, pur non ricevendo giudizi unanimi, rappresenta un buon punto per il ritorno della band, a dodici anni dall'ultimo full-lenght: una band affiatata, in forma, in grado di suonare con classe e perizia.
Insomma, i nomi grandi ci sono, compresi quei folli degli Agoraphobic Nosebleed, con i loro campionamenti, il noise, la drum machine, ma anche influenze più canoniche (soprattutto thrashcore, come confermato dalla band stessa in sede di intervista) e, ovviamente, con le critiche che sempre si accompagnano ad uscite di band che al grind uniscono noise ed elettronica, segno di conflittualità tra gli ascoltatori ma anche di tentativi di innovazione che possono giovare ad un genere così intrinsecamente monocorde.
Tuttavia, se vogliamo che un genre non muoia e si fossilizzi attorno a pochi nomi, è giusto che anche band più o meno giovani dicano la loro: a partire dagli americani Cattle Decapitation, che col loro quarto lavoro The Harvest Floor confermano una buona tendenza a suonare del valido grindcore con ottimi spunti tecnici. Ma a rinfoltire la scena ci sono anche nomi nuovi: alcuni completamente, come gli odiosi da pronunciare ma ottimi da ascoltare Success Will Write Apocalypse Across The Sky -che dai Cattle Decapitation prendono l'ex batterista- , o come i devastanti Pitbull Terrorist, altri nuovi solo ufficialmente, come come i Total Terror del magico trio Swanö- Axelson- Larsson, dediti ad una branca del grindcore, quella crust-oriented, che meriterebbe maggiore attenzione se solo non rimanesse legata ad una tradizione underground che, unita all'apparente scarso interesse dell'Italia verso certe sonorità, rende difficile rimanere costantemente aggiornati su di essa.
Permettetemi inoltre di farvi sprecare due minuti parlando della direzione in cui il grindcore non deve andare: la violenza di plastica dei Milking The Goat Machine mostra una degenerzione del grind che non ci piace, verso lidi di finto deathcore, che non è in realtà altro che l'impoverimento del genere per renderlo accessibile anche al non-metallaro adolescente alla ricerca di violenza da quattro soldi. Fortunatamente ho abbastanza fiducia nel popolo metallaro per sperare che ciò non accada.
In questa piccola disamina dell'annata grindcore manca ovviamente tutto quel lato "fai-da-te" e undeground, fatto di split e demo che costituisce la vera spina dorsale del genere; purtroppo, per questioni di tempo, spazio, e nondimeno della scarsa luca di cui godono certi movimenti, non possiamo lanciarci in mirabolanti analisi profonde.
Discorso diverso -completamente- per l'altra frangia estrema di derivazione death, infatti ci troviamo di fronte alla bellissima sorpresa di un anno generosissimo, sia per quantità che soprattutto per qualità, per il Brutal Death Metal.
In particolar modo per le band tricolore il 2009 è stato un anno da incorniciare.
Questa particolare ramificazione del Death Metal, come ben tutti noi sappiamo, non offre oramai al suo interno possibili o particolari evoluzioni, ed è infatti non è questo che noi brutallari chiediamo ad i nostri artisti preferiti, ma al contrario vogliamo certezze e conferme. Si può alla luce dei fatti ritenere che entrambe le cose siano state presenti ed in dosi massicce. A conferma di tutto ciò troviamo una scena sempre più in crescendo che si stà ritagliando uno suo spazio ben preciso e con un audience in aumento.
Iniziamo dunque dalla nostra amata patria, che come anticipato in precedenza, in questo anno ci ha regalato enormi soddisfazioni.
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con un piccolo capolavoro da parte dei romani Hour Of Penance e ci ritroviamo con il 2009 con un'altra piccola gemma a nome Oracle a firma Fleshgod Apocalypse, che tirano fuori dal loro cilindro un album a dir poco sensazionale che li innalza nell'olimpo del brutal. A testimonianza di ciò è l'enorme mole di date in giro per l'Europa che i nostri hanno fatto e faranno a supporto del platter, di spalla a nomi altisonanti come i Suffocation.
Forti della firma per la prestigiosa Unique Leader Records troviamo poi i Vomit The Soul, che sfornano a loro volta un grande album. Enorme il passo in avanti rispetto al loro album d'esordio, un concentrato di parti veloci e rallentamenti slammati sapientemente mescolati che danno vita a Apostles Of Inexpression, un album da possedere a tutti i costi.
Andando avanti come non citare l'esordio degli Egemony, one man band di Alessandro "Fetz" Simonetti che all'interno di Baptims Of The Unborn si occupa di tutti gli strumenti, compresa l'ottima e quasi umana programmazione della drum machine. Un lavoro onesto che risulta degno di un attento ascolto da parte di tutti. Classico Brutal sparato a mille ed influenzato dai mostri sacri del genere.
Altro esordio sulla lunga distanza è quello dei bolognesi Murder Therapy. In verità non una sorpresa, dato che il loro precedente Ep ci aveva messo in guardia su cosa poi il combo avrebbe potuto fare, ed infatti non hanno deluso le aspettative con Symmetry Of Delirium, una vera bastonata sugli zebedei. Un Death Metal psicologico che trova al suo interno ampi rimandi al brutal più ferale e malvagio. Per loro sembra prepararsi un futuro ricco di soddisfazioni.
Per concludere la parentesi tricolore come non ricordare il fresco di stampa Erase The Insignificant secondo album dei cuneesi Septycal Gorge, forse l'album più bello di questo splendido 2009. Tecnica al servizio della violenza per un platter che può regalarvi immense soddisfazioni.
Per quanto riguarda il resto del mondo, il 2009 ha segnato il ritorno dei mostri sacri Suffocation e Nile. In entrambi casi solo conferme. I primi hanno optato per un leggero rallentamento (non ammorbidimento) generale del sound con risultati eccellenti. I secondi si sono spinti ancora in avanti grazie ad un songwriting complesso, ma ispiratissimo ed una potenza inaudita.
Ancora uscite di grande livello per i Dying Fetus, che si confermano immortali fautori di un brutal violento e caoticao con l'ottimo Descend Into Depravity, e per i tecnicissimi Gorod che con Process Of A New Decline, terzo ottimo full-lenght, sanciscono di fatto la loro importanza nel panorama technical brutal.
Altro nome importante dell'underground brutallaro è quello dei Devourment che con Unleash The Carnivore svolgono bene il loro compito di band capostipite del così detto Brutal Slam, senza grandi sorprese e senza particolari picchi compositivi.
Sempre nella sponda americana, ovviamente quella più prolifica e ricca di uscite, citiamo i Phatology con alla voce il mitico Matti Way, gli Insidious Decrepancy dell'onnipresente Shawn Whitaker, i Cesspool Of Vermin e gli Engaged In Mutilating che pubblicano i loro rispettivi album senza creare particolari scossoni nella scena.
Tornando in Europa esordiscono sotto l'italiana Permeated Records gli inglesi Embryonic Depravity, brutal di stampo americano fatto con i controfiocchi e poi ancora i tedeschi Despondency che potevano fare decisamente meglio con il loro Brutal ricco di asfissianti rallentamenti.
Diciamo che tutti i nomi sopra citati sono logicamente una parte delle infinite uscite che ogni anno si susseguono con un ritmo quasi incontrollato, ma probabilmente sono i più importanti e significativi da citare per farsi un'idea di quello che è potuto essere l'anno che va a concludersi.
Eppure, se negli anni molto si è guadagnato, qualcosa si è perso: tralasciando il risibile disco di covers dei Children Of Bodom ( Skeletons In The Closet), a lasciare l'amaro in bocca, nonostante fosse prevedibile, è l'opaca prestazione degli Obituary, che non riescono a fare grossi passi avanti dall'ultima delusione di Executioner qualcosa, e pur risucendo a confezionare un disco sufficiente dimostrano di essere ormai l'ombra di quelli di Cause Of Death; abbastanza deludente anche la prova dei Bibleblack, nome che ai più non dirà nulla -e qualitativamente è così- ma che nasce per mano nientemeno che di Mike Wead, senza però giungere ai livelli auspicabili da un simile nome. Bocciati anche i The Black Dahlia Murder, ormai confermati ome una band non degna di particolare attenzione. In questo calderone di gioia e dolore, si inseriscono i Pestilence con Resurrection Macabre. Dove si inseriscono? Difficile dirlo, il disco è analizzabile con occhio lucido ed oggettivo, o con quello di un fan, e le cose cambiano di molto; alla fine dei conti questo lavoro, senza brillare particolarmente, ci tesimonia volontà e caparbietà da parte di una band che ha sempre saputo come fare death, lasciandoci intravedere un nuovo roseo futuro; vi pare poco?
Nel limbo dei dischi buoni ma non "all'altezza dei precedenti" troviamo anche gli spaccaossa Cannibal Corpse, affiancati da tutta una schiera di band che pur non spiccando nel mucchio contribuiscono a creare buone aspettative per il futuro del death metal: citiamo ad esempio i The Red Chord, i più controversi Insomnium, i Miseration, ancora alla ricerca del salto di qualità, od i promettenti, giovanissimi, e purtroppo già sciolti Hiroshima Will Burn. Citiamo anche gli Hackneyed, giovanissimi deathster un po' montati dalla pubblicità della Nuclear Blast ma discretamente validi e gli Hearse, band nota ai più per la militanza del singer Johan 'Liiva' Axelsson, ma che con Single Ticket To Paradise manca il botto quando ormai è già giunta al quinto disco. A proposito di nomi grossi, più o meno stessa situazione per i Torture Killer, che nati come cover band dei Six Feet Under pagano ad essi un grosso dazio, confezionando con Sewers un piccolo passo indietro rispetto a Swarm!.
Abbiamo già citato qualcosa di italiano, ma non posso esimermi dall'includere nel resoconto di un ottimo anno di Hyra e Coram Lethe. Un sorprendente debutto per i primi, un disco contestato e complicato, ma sicuramente più che godibile, per i secondi.
Dunque un anno da incorniciare, ma probabilmente non sarà da meno il 2010. Due nomi su tutti: Hour Of Penance e Decrepit Birth.
Sono questi i due altisonanti nomi su cui ruoterà l'intera scena l'anno venturo, ma sono attesi anche i ritorni dei tecnicissimi Odious Mortem e Spawn Of Possession, senza poi considerare le innumerevoli uscite più o meno importanti che potranno riservarci delle bellissime ed inaspettate sorprese.
PROG
a cura di: Elio Ferrara “Holydiver” e Andrea Pinto “Coconuts Blood ”
Un altro anno se ne va, un anno dove sono successe tante cose, ma che di certo dal punto di vista della musica può essere considerato fondamentale, almeno in ambito prog, vista la pubblicazione di dischi davvero significativi: quanto meno, a nostro avviso, ci troviamo infatti in presenza dell’anno più importante del decennio. Con questo articolo ci proponiamo di fare un excursus di quello che è successo e di quali sono state appunto le uscite più significative. A tale scopo, partiremo dando un’occhiata alle pubblicazioni più importanti nell’ambito del rock progressivo maggiormente legato a sonorità classiche (anni ’70 specialmente), passando poi al cosiddetto neo-prog. Quindi, ci occuperemo del metal prog, dando uno sguardo particolare anche ai dischi pubblicati da band italiane, per poi concludere con le frange estreme del genere, ai confini con il death metal. Non è nostro intendimento naturalmente dare un resoconto totale e completo di tutte le pubblicazioni del settore, anche se ci sforzeremo di essere, nei limiti del consentito, quanto più esaurienti possibile.
ROCK PROGRESSIVO
Cominciamo la nostra analisi naturalmente partendo dal rock progressivo: diciamo che in qualche modo negli ultimi anni sono tornate di moda sonorità che evocano in maniera più o meno diretta quelle degli anni ’70. In tal senso possono menzionarsi due dischi davvero complessi, in grado di mettere a dura prova i progsters più incalliti, che una volta metabolizzati si rivelano però in tutto il loro fascino. Il primo disco a cui ci riferiamo è Destined Solitaire dei Beardfish, band svedese che riesce a far rivivere pienamente il fascino degli anni ’70, suonando musica che sembra provenire direttamente da quel decennio e che riesce a realizzare così un degno successore dei due ottimi Sleeping in Traffic. L’altro disco a cui facciamo riferimento è ovviamente The Whirlwind dei Transatlantic, la super-band composta da Neal Morse (ex Spock’s Beard), Mike Portnoy ( Dream Theater), Roine Stolt ( The Flower Kings) e Pete Trewavas ( Marillion): i quattro realizzano il loro terzo studio album, che possiamo a buon diritto considerare il disco dell’anno. Un unico brano, diviso in dodici parti, per una durata complessiva di circa 77 minuti, nei quali la band rende omaggio ai grandi del passato con uno stile che però è allo stesso tempo quanto mai moderno ed attuale. Un disco sicuramente di non facile ascolto, come dicevamo sopra, ma caratterizzato indiscutibilmente da bellissime melodie, grandissime atmosfere, tecnica sublime, mai rivolta allo sfoggio virtuosistico e sempre funzionale alla musica. Dischi del genere non vengono pubblicati tutti i giorni e un capolavoro di questa portata merita davvero di essere attenzionato.
Basterebbe questo a far ricordare il 2009 come un anno memorabile per il prog: ma siamo appena all’inizio. Continuiamo quindi il nostro excursus nei meandri di quest’anno che ormai ci sta lasciando ma che non è certo stato avaro di importanti uscite discografiche legate in particolar modo a grandi nomi del panorama progressive ed affini. Sicuramente un’altra grande uscita, proprio alla fine dell’anno, è stata quella dei The Tangent, band rinnovata dagli innesti di Jonathan Barrett al basso e Paul Burgess alla batteria, che con Down and out in Paris and London realizza un album di grandissimo livello, con uno stile che rimanda ai grandi classici prog degli anni ’70. Il song-writing è davvero ispirato, con brani di lunga durata che mettono in evidenza una varietà di temi veramente impressionante ed una ricchezza espressiva a dir poco esaltante, impreziosita da deliziosi inserti di hammond, flauti e sax (questi ultimi ad opera di Theo Travis) che riescono a conferire una certa personalità al sound e contribuiscono a creare notevoli atmosfere.
Per qualche altra band va fatto invece un discorso un po’ differente. Diciamo che c’è sempre grande aspettativa dietro una nuova uscita di band più blasonate, a volte ripagata con immensa gioia da parte dei fan, altre volte ci si trova invece di fronte ad album di transizione dove le composizioni sono un po’ fiacche e stanche e non si ritrovano i livelli qualitativi a cui ci si era abituati: su questa scia si potrebbero archiviare gli ultimi lavori dei Porcupine Tree e Mars Volta. Quest’ultimi, artefici di Octahedron, lavoro che ha un po’ deluso le aspettative dei molti seguaci della band: aspettavamo fuochi e fiamme ma ad essere sinceri ci siamo trovati di fronte a qualcosa di meno incredibile del solito e più “pacato” se così si può dire; forse gli innumerevoli lavori solisti e collaborazioni del leader Omar Rodriguez Lopez hanno portato via un po’ di benzina alla band madre ma siamo consapevoli che a questi signori basterà poco per far riaccendere la scintilla.
Considerazioni analoghe si possono fare per l’ultima fatica dei Porcupine Tree intitolata The Incident, sulla carta 14 tracce che dovrebbero comporre un’unica suite di 55 minuti ma in realtà abbiamo avuto più l’impressione di brani senza troppa continuità tra loro e senza un filo logico ben determinato; anche a livello sonoro i nostri, sempre più Wilson-dipendenti, hanno ormai definitivamente sterzato verso un progressive marcatamente più metal uniformandosi un po’ alle sonorità di altri gruppi del genere: comunque da sottolineare la splendida Time Flies vera gemma e piccolo capolavoro dell’album che, offre anche un secondo cd con ulteriori quattro brani che, per la verità, non aggiungono molto a quanto da loro già fatto.
Rimanendo in tema, da citare anche il primo lavoro solista dell’inarrestabile ed instancabile Steven Wilson, Insurgentes, dove il nostro ci apre le porte del suo universo difficilmente inquadrabile, fatto di industrial noise, drone, ed ovviamente progressive rock: un lavoro interessante ma non immediato, per molti superiore all’ultima fatica della sua band madre.
Restando in ambito prog rock, meritano una menzione i norvegesi Airbag, che con il loro Identity ci hanno proposto un rock psichedelico fortemente pink-floydiano. Novità interessanti dalla Polonia, dove di fatto si può riscontrare da qualche tempo a questa parte una scena molto ricca e creativa. Oltre ai “soliti” SBB, che su Iron Curtain spaziano tra prog rock, jazz e fusion, continua in qualche modo la “sfida” a distanza tra i due ex Collage Mirek Gil e Wojtek Szadkowski, rispettivamente con le loro attuali band, vale a dire i Believe e i Satellite. Se nel 2008 avevamo sicuramente preferito i primi, autori dello splendido Yesterday is a present, quest’anno abbiamo potuto assistere, per così dire, ad un autentico capovolgimento di fronte, visto che i Believe, complice anche qualche significativo cambio di line-up, hanno presentato, a nostro avviso, con This bread is mine un album interlocutorio e non pienamente convincente; al contrario, i Satellite con Nostalgia si sono resi autori di un disco molto bello, nel quale riescono a fondere in maniera sublime un suono molto moderno, enfatizzato da un’eccellente produzione, sia con il neo-prog di Marillion e IQ che con atmosfere e sonorità tipicamente settantiane, che rimandano direttamente ai Genesis di Peter Gabriel o agli Yes del periodo con Wakeman. Sempre dalla Polonia provengono gli Osada Vida, anch’essi protagonisti con la pubblicazione, giusto verso la fine dell’anno, di un’altra delle più belle uscite prog del 2009: parliamo di Uninvited dreams, per la verità un altro disco che richiede una certa assimilazione prima di essere appieno apprezzato, ma che certamente si fa ammirare per la grande capacità di trasmettere emozioni, attraverso un linguaggio sonoro fortemente creativo, che spazia tra rock, progressive, fusion, elettronica e metal.
NEO-PROG
Nel corso dell’anno abbiamo assistito a significative uscite anche nell’ambito del cosiddetto neo-prog: ad esempio gli IQ, uno dei gruppi storicamente di maggior rilievo del movimento, sono tornati con la pubblicazione di Frequency, un disco raffinato all’altezza della loro classe, specie se si guarda alle prime tracce dell’album (la title track, Life Support e Stronger than fiction); le restanti tracce, invece, per la verità, non sembrano mantenere la stessa lucidità e la stessa qualità per tutta la loro durata, anche se va senz’altro riconosciuta allo stesso tempo la presenza frequente di passaggi deliziosi e straordinariaamente affascinanti.
Anche per i Saga il 2009 è stato un anno importante, un anno che paradossalmente ha sancito una fine ed al tempo stesso un nuovo inizio per il gruppo canadese: la fine riguarda il lungo ed intenso sodalizio con il cantante nonché co-fondatore della band Michael Sadler, il quale ha detto addio alla band dopo trent’anni di onorata carriera, per dedicarsi maggiormente alla famiglia ed al figlio, e questo doloroso addio è stato immortalato nell’album Contact: Live in Munich, concerto sold out che hanno tenuto a Monaco nel 2007, ma uscito appunto solo quest’anno, in cui hanno riproposto tutto il meglio della loro brillante carriera compresi brani tratti dall’ultimo e apprezzato lavoro con Sadler alla voce 10.000 days; il nuovo inizio è rappresentato dalla pubblicazione del nuovo album The Human Condition con Rob Moratti dietro il microfono nell’arduo compito di non far rimpiangere il suo predecessore, un album dove le strutture progressive sono decisamente più marcate e il suono risulta più compatto ed energico e dove si avverte la voglia di rimettersi in gioco e di cambiare seppur in maniera soft le carte in tavola, fermo restando che il chiaro marchio di fabbrica dei Saga è presente in tutte le nove tracce: un buon inizio ma sarà dura far dimenticare il passato.
Anche i Pendragon si sono riaffacciati sul mercato sia con un nuovo album, Pure, sia con un dvd live, Concerto Maximo, con i quali la band di Nick Barrett ha celebrato trent’anni di onorata carriera: inutile dire come sia l’uno che l’altro siano semplicemente stupendi, dei concentrati di rock raffinato e di qualità, dove va segnalato l’eccellente innesto del nuovo batterista Scott Higham il quale, grazie al suo tocco deciso e potente, riesce a donare ai brani una carica ed una vitalità non indifferenti. Alla luce dei fatti, possiamo senz’altro affermare che la band dimostra di saper ancora affascinare ed incantare più che mai. Peraltro, il tastierista dei Pendragon, Clive Nolan, si è reso protagonista quest’anno anche per via del fatto che è andato a riesumare nientedimeno che gli Shadowland, storica band che aveva formato negli anni ’90 insieme a Karl Groom, chitarrista dei Threshold, realizzando un tour per celebrare questa reunion (che non si sa bene però se avrà un ulteriore seguito): evento che è stato immortalato nel dvd Edge of the night.
Altri live interessanti usciti in dvd (tutti realizzati dalla Metal Mind) che vanno senz’altro segnalati sono quelli dei Credo ( This is what we do – Live in Poland), dei Final Conflict ( Another moment in time) e di un paio di band di più recente formazione, ma non per questo meno valide, come DeeExpus ( Far from home) e Tinyfish ( One night on fire). In ambito prog vanno segnalate anche le uscite dei finlandesi Overhead ( Live after all), band molto originale caratterizzata dalla presenza del flauto e degli RPWL, band tedesca fortemente influenzata dai Pink Floyd ma dalla grande personalità, che dà seguito all’ottimo album The RPWL Experience, pubblicato l’anno scorso, con un dvd registrato in occasione del successivo tour (e dal titolo appunto di The RPWL Live Experience).
METAL PROG
Passiamo adesso ad esaminare le uscite in ambito metal prog: anche qui, possiamo senz’altro dire che nel corso dell’anno sono stati pubblicati dischi di un certo rilievo, con alcune conferme ma anche qualche sorpresa.
Purtroppo anche quest’anno siamo stati spettatori di orribili guerre che non accennano a diminuire né tantomeno a concludersi e non frequentemente nella scena musicale si trova il coraggio di affrontare queste tematiche in maniera adeguata: trattandosi di argomenti scomodi, soprattutto in America, non è difficile capirne il motivo ma American Soldier, concept album dei Queensrÿche, rompe gli schemi ed esce fuori dal coro descrivendo in maniera efficace le atrocità delle guerre “made in Usa” viste dagli occhi di chi le ha vissute sulle sua pelle; un lavoro dove le parole suonano più dure delle chitarre e se dal lato prettamente musicale ha fatto storcere il naso a molti fan del gruppo per via di un approccio meno aggressivo rispetto a quanto trattato, proprio i testi non possono lasciare indifferenti segnando per i Queensrÿche un momento importante nella loro carriera.
Il 2009 ha visto anche il ritorno sulle scene dei polacchi Riverside che, dopo aver chiuso con Rapid Eye Movement (2007) la trilogia denominata Reality Dream, pubblicano per Inside Out Anno Domini High Definition; nonostante abbiano messo da parte quelle atmosfere malinconiche e darkeggianti per sterzare verso un sound metal più duro e compatto (che ricorda molto le ultime fatiche dei Porcupine Tree!), i nostri non hanno perso di incisività e originalità e la splendida Egoist Hedonist, vero picco creativo dell’album, è qui per dimostrarlo e per dimostrare ancora una volta l’ottimo momento che sta vivendo la musica progressive nel territorio polacco.
Due album che davvero hanno colpito per qualità ed intensità sono stati quelli di Redemption e Shadow Gallery, entrambi, per motivi diversi, segnati da una velata ma profonda vena malinconica: i primi per la malattia (a quanto pare) incurabile diagnosticata al leader Nick Van Dyk; i secondi, per aver realizzato il loro primo disco senza il compianto Mike Baker, prematuramente scomparso alla fine dello scorso anno. Con riguardo ai Redemption, il loro Snowfall on Judgment Day ci presenta una band veramente matura, con un sound che riesce ad essere aggressivo ed ammaliante allo stesso tempo, grazie a degli arrangiamenti deliziosi ed alla grande capacità di creare atmosfere, resa possibile da una particolare attenzione ai dettagli, unite ad una produzione eccellente ed ad un song-writing di grande qualità. Un disco bellissimo che speriamo proprio possa avere un seguito. Altrettanto stupendo è Digital Ghosts, il nuovo lavoro degli Shadow Gallery, a nostro avviso tra i migliori in assoluto mai realizzati dalla band, la quale, pur non discostandosi particolarmente dal proprio stile, vale a dire un metal prog brillante, dalle belle melodie e pieno come sempre di cori, con largo spazio lasciato ad assoli ed in genere a delle parti strumentali, denota una freschezza compositiva ed una forza espressiva davvero elevate.
A proposito di metal prog, inevitabilmente uno dei dischi più attesi era quello dei Dream Theater, forse, al giorno d’oggi, la band più amata ed odiata allo stesso tempo. Diciamo comunque che, quali che fossero le aspettative, Black Clouds & Silver Linings non ha particolarmente deluso, visto che bene o male prosegue sulla buona strada intrapresa con il precedente Systematic Chaos, con un buon equilibrio tra le diverse anime della band: melodie, sonorità metal, parti progressive sono ben amalgamate tra loro e, benché magari non suscitino un livello di entusiasmo paragonabile a quello dei loro capolavori, tutto sommato sono sufficienti per far parlare di un buon disco. La maggior parte dei brani sono stati anzi riproposti dal vivo in occasione del Progressive Nation Tour, che ha visto i Dream Theater protagonisti in due diverse tranche, in America con Zappa plays Zappa ed in Europa con gli Opeth: in particolare, ci riferiamo alle lunghe suite A Nightmare to Remember e The Count of Tuscany, ma nel corso delle varie serate (sempre diversa la scaletta ad ogni concerto), accanto ai classici della band, hanno trovato spazio spesso anche A Rite of Passage e la melodica Wither.
Ed ora passiamo in rassegna una serie di “spin off” dei Dream Theater: uno più lontano nel tempo ed ormai avviato da dieci lunghi anni alla carriera solista, ovvero Derek Sherinian, che ritorna alla grande con il suo quinto album Molecular Heinosity, lavoro più squisitamente progressive rispetto agli altri, che se da un lato non aggiunge nulla di nuovo sotto il sole, dall’altro, complice anche la super line–up di cui si è circondato ( Zakk Wylde, Virgil Donati, Brian Tichy, Tony Franklin) ci regala della buona musica strumentale (ad eccezione fatta per So far Gone, cantata dal buon vecchio Zakk), senza essere troppo prolissa ed estenuante come molti suoi colleghi ci hanno abituato.
Un altro “spin off” è decisamente più attuale per il teatro dei sogni e ci riferiamo al nuovo capitolo discografico di Jordan Rudess, che questa volta ci delizia con Notes on a Dream e il “Dream” presente nel titolo non è un caso visto che si tratta di un album di cover dei Dream Theater riproposte dal talentuoso tastierista aiutato solamente dal suo pianoforte: quello che ne viene fuori è un album elegante e virtuoso dove le composizioni assumono connotati diversi e si vestono di nuovi colori, un album decisamente riuscito che appassionerà tutti gli amanti del teatro dei sogni e tutti gli amanti del pianoforte.
Infine, Blood, ultimo lavoro degli O.S.I. , gruppo capitanato da Kevin Moore ( Fates Warning, Chroma Key oltre che ex Dream Theater), Jim Matheos ( Fates Warning) e, fino alla seconda prova, affiancati alla batteria da Mike Portnoy, mentre ora il suo posto è stato preso da Gavin Harrison ( Porcupine Tree). Questa volta i nostri danno sapientemente più spazio all’uso dell’elettronica senza mai esagerare e riuscendo a proiettare l’ascoltatore in territori sperimentali e coinvolgenti ; forse non sarà all’altezza dei precedenti ma è indubbio che era un’uscita molto attesa e non ha deluso le aspettative: da menzionare nella splendida Stockholm il cameo di Mikael Åkerfeldt che, come detto, pur non avendo pubblicato alcun album quest’anno con i suoi Opeth, si è reso indubbiamente protagonista di questo 2009 con le sue collaborazioni e con la partecipazione al Progressive Nation Tour.
Decisamente meno famosi ma sicuramente molto bravi gli Indukti, provenienti dalla Polonia (ancora!) e autori di Idmen, a nostro avviso una delle uscite più interessanti dell’anno, con un sound variegato, brani mediamente lunghi, che utilizzano diversi temi musicali al loro interno, e che parlano un linguaggio trasversale, dove i generi vengono sapientemente mescolati per creare qualcosa di nuovo. Il risultato è dannatamente affascinante e quanto mai imprevedibile: ritmi tribali e sfuriate metal si intersecano con momenti più contemplativi o fortemente sperimentali, attraverso l’utilizzo di strumenti canonici come chitarre, batteria e basso, ai quali ne vengono tuttavia accostati altri come il violino o persino il dulcimer e la tromba (assai suggestivo ed azzeccato, ad esempio, l’inserimento di quest’ultimo strumento, su Ninth Wave).
Altre uscite che vanno senz’altro segnalate sono quelle dei Perspective X IV, che in Shadow of doubt mettono in evidenza uno stile vicino a quello degli Enchant, specie per il senso della melodia e le attitudini progressive, ma con un groove ed una carica tipiche dei King’s X, combinando con perfetto equilibrio riffs metal con la loro anima progressiva; o i Dyshrythmya, rappresentanti invece di un prog strumentale che pone particolarmente l’accento sull’aspetto tecnico e che si sono ben messi in evidenza con Psychic Maps.
Ancora, degne di menzione sono alcune altre band europee come i finlandesi Status Minor, che hanno debuttato con Dialog nonchè i power progsters danesi Anubis Gate ( The Detached il titolo del loro album) e i francesi Adagio, che hanno fatto un buon lavoro con Archangels in black, trascinati dal loro leader, il chitarrista virtuoso Forté, con un’ottima prova anche del loro nuovo cantante Chris Palin.
E L’ITALIA?
E l’Italia? Beh, non sta certo a guardare, tanto che abbiamo deciso di dedicare alle prog band tricolori uno spazio appositamente dedicato. Con grande orgoglio possiamo infatti tranquillamente affermare che anche quest’anno il metallo italiano ha prepotentemente affermato il suo valore e soprattutto in campo progressive metal abbiamo avuto dei notevoli lavori per cui gioire e appagare le nostre orecchie.
Iniziamo con gli Astra: anzitutto, attenzione a non confonderli con il gruppo inglese che porta il loro stesso nome, che invece ha pubblicato da poco l’album di rock psichedelico The Weirding, con forti richiami a Meddle dei Pink Floyd ; fatta questa precisazione, supponiamo che per molti di voi il nome degli Astra non sia nuovo essendo stati per anni la tribute band italiana ufficiale dei Dream Theater e questo ha giovato non poco al risultato finale del loro splendido debutto per la Lion Music From Within; nonostante siano musicalmente debitori nei confronti dei loro idoli, ma non poteva essere altrimenti, hanno saputo creare una propria identità e, sorretti da ottime composizioni dove traspare sempre un perfetto equilibrio tra melodia e aggressività, hanno sfornato un debutto davvero entusiasmante che può competere tranquillamente con pubblicazioni analoghe in campo europeo.
Avevano già fatto parlare di sé con un demo e con il primo lavoro del 2007 ma è con il secondo album Sunless Skies che troviamo una solida conferma di quanto di buono si era intravisto: ovviamente parliamo dei Pathosray, quintetto dalla spiccate doti tecniche e melodiche che con questo lavoro hanno creato un ponte immaginario che dal passato ( Pfm e Le Orme), collega al presente ( Dream Theater, Circus Maximus) e forse al futuro; da menzionare assolutamente la splendida prova vocale di Marco Sandron, affiancato in alcuni episodi da ospiti femminili, e la splendida copertina dell’album.
Arriviamo ad un altro orgoglio italico: i DGM; ad un anno dall’entrata del nuovo cantante Mark Basile, che ha preso il posto in maniera efficace ed indolore di Titta Tani, pubblicano su Scarlets Records Frame, successore del pluriacclamato Different Shapes; in questo lavoro ritroviamo tutti gli ingredienti che li hanno fatti apprezzare al grande pubblico ovvero una spiccata semplicità con cui mescolano sapientemente ingredienti e sonorità che spaziano tra heavy metal, aor, thrash e power creando composizioni compatte e fluide, elevando l’album un gradino sopra gli altri; Frame sicuramente merita di essere acquistato o perlomeno ascoltato da tutti gli amanti del genere.
Un altro disco di gran valore è Pulse for a graveheart dei Mind Key, band che ha saputo realizzare un ottimo ed originalissimo mix tra Aor/melodic rock e progressive, con dei risultati davvero sbalorditivi poi se si guarda alla performance dei musicisti, di altissimo livello in quanto a preparazione tecnica e fantasia. Una menzione a parte va fatta per il cantante Elio Fierro, con una voce assolutamente fuori dal comune, che per voce e timbro non esiterei ad accostare a mostri sacri quali Ronnie James Dio, David Coverdale, Glen Hughes e direi anche Micheal Bolton. Peraltro, contribuisce ad arricchire ulteriormente il disco la presenza di ospiti illustri come Derek Sherinian, Reb Beach e Tom Englund.
Tra le migliori uscite in assoluto si colloca The Forbidden City dei Twinspirits, la band di Daniele Liverani, che ritorna con un concept album molto interessante. Novità dietro i microfoni, dove troviamo lo svedese Göran Nyström, dotato di una voce particolare tanto da far pensare ad una scelta coraggiosa ma quanto mai azzeccata, dato che appare ricca di colori e sfumature ed è in grado di essere all’occorrenza potente e roca o limpida e diretta, come pure di assumere toni di assoluto lirismo o fortemente teatrali. Gli apici compositivi sono senz’altro rappresentati da due lunghe suite, la title track e la conclusiva I Am Free, espressioni di un metal prog brillante e coinvolgente, ma in generale tutto il disco presenta un ottimo equilibrio tra potenza, tecnica e melodia.
Molto bene anche i siciliani Memories Lab, che debuttano con Stronger than hate, realizzando un disco di grande spessore, mostrando classe, tecnica, personalità, un ottimo amalgama tra i diversi strumenti e una spiccata capacità di creare atmosfere, di suscitare un feeling profondo con l’ascoltatore. Quanto allo stile, risulta alquanto interessante, visto che accoglie elementi dal metal prog ( Pain of Salvation e Fates Warning in particolare), dal power americano, dall’heavy classico, dal thrash e dal doom ma in generale il sound è alquanto fresco e moderno.
Altri due bei debutti sono stati quelli degli Azure Agony, autori di Beyond Belief, disco interamente strumentale con dei brani complessi ma attenti anche alle melodie e alla capacità di emozionare e quello degli Elegy of Madness, che con The Bridge of Sighs hanno messo in evidenza un bel prog sinfonico dove svetta l’incredibile voce della cantante Anja.
Infine, una menzione speciale va sicuramente fatta per gli Ashent, che quest’anno hanno pubblicato Deconstructive e per i Chaoswave, autori di Dead Eye Dreaming, ambedue band di grande interesse che sicuramente avranno incontrato i favori degli amanti del genere e che ci aspettiamo di riascoltare presto visto che, a nostro parere, non si sono ancora espresse al massimo delle proprie potenzialità.
PROG/DEATH
Anche per la parte più estrema del genere, quella che si identifica specialmente con il death ad alto tasso tecnico, è stato un anno da ricordare; diverse le uscite significative che hanno dato nuova vitalità alla scena anche se, spesso a tirarne i fili sono stati dei nomi molto illustri del recente passato ma questo poco importa se poi alla fine i risultati sono stati davvero convincenti.
Iniziamo parlando del disco, forse, più rappresentativo di quest’anno ovvero Cosmogenesis degli Obscura che, dopo un discreto album d’esordio, qui fanno un incredibile salto di qualità di enormi proporzioni grazie al sostanziale cambio di line-up avvenuto nel frattempo: Steffen Kummerer oggi è affiancato da Christian Muentzer e Hannes Grossmann, ex Necrophagist e dal bassista Jeroen Paul Thesseling, largamente apprezzato su Spheres dei Pestilence. L’unione non sempre fa la forza ma in questo caso il detto è stato ampiamente rispettato e l’album è un caleidoscopio di potenza ed emozioni dove non è difficile risentire, oltre il sound delle band di origine dei signori appena citati, sprazzi di Atheist, Dark Tranquillity e Death: forse tra qualche anno diventerà un classico.
Continuiamo parlando di Engineering the Rule degli Gnostic, side-project (o band a tutti gli effetti??) di tre dei membri dei riformati Atheist ovvero Steve Flynn, Chris Baker ed il bassista Jonathan Thompson, questi ultimi due entrati a farne parte dalla reunion del 2006 suggellata dalla pubblicazione, sempre quest’anno, di Unquestionable Presence:Live At Wacken; ovviamente quello che propongono gli Gnostic non può essere altro che un ottimo progressive death metal con slanci vorticosi e cambi indiavolati e se poi l’album è prodotto da Kelly Sheafer, voce degli Atheist che canta anche in un brano, allora c’è da fidarsi.
Rimaniamo in scia parlando di ulteriori tre uscite che non si discostano molto dai suoni e territori appena citati ma meritano sicuramente di essere menzionati: dalla Francia provengono i Gorod con il nuovo album Process of a New Decline, lavoro anch’esso ultratecnico ma impreziosito da melodie quasi neo-classiche ; dalla Germania arriva Side Effects Expected micidiale debutto dei Centaurus-A i quali, dietro ad una struttura prog-metal delle canzoni, sparano ad una velocità incredibile un thrash death metal senza compromessi: sentiremo parlare ancora di loro; infine dalla sempre più talentuosa Grecia troviamo i Cerebrum con il loro esordio Spectral Extravagance, anch’esso debitore nei confronti dei gruppi storici ma dotato di un coinvolgimento maggiore rispetto a tante altre uscite per la capacità dei musicisti di non strafare mai più del dovuto nei loro virtuosismi.
Ancora dalla Francia vorremmo menzionare una piccola gemma nascosta ai più che risponde al nome dei Kalisia con il loro sorprendente debutto Cybion, concept opera costato dieci anni di duro lavoro: in patria e non solo vengono definiti la versione death metal dei Dream Theater ma dentro il loro mondo c’è molto di più e se non li conoscete ancora vale la pena cominciare ad ascoltarli.
Al di sotto delle aspettative Dark Matter Dimension, nuovo lavoro degli Scar Symmetry che, nonostante l’innesto di ben due cantanti al posto di Christian Alvestam , non riescono a trovare un perfetto equilibrio e soprattutto a far intravedere qualche nuova soluzione o idea che li rialzi dal dorato limbo dove sono finiti.
Nessuna delusione da parte dei Between The Buried And Me che ritornano dopo due anni abbondanti con l’atteso The Great Misdirect, seguito dell’acclamato Colors: difficile descrivere in maniera precisa la loro proposta che si nutre di una costante mescolanza di generi che i nostri gestiscono in maniera impeccabile e convincente: da ascoltare con una buona dose di apertura mentale.
Le ultime righe le vorremmo spendere per gli spagnoli NanemaH: con il loro ultimo A New Constellation propongono, come loro stessi hanno affermato, un metal onirico e sperimentazione d’avanguardia con azzeccati innesti di tastiere e addirittura di sax per un risultato davvero originale e maturo: chissà che questa sia la volta buona per farli apprezzare da un pubblico più vasto come meriterebbero.
CONCLUSIONI
Dopo questo excursus, non possiamo far altro che constatare la grande vitalità di un genere ormai variegato e complesso come il prog, dove, comunque, sia pure a differenti livelli e con diversi risultati, si riscontra una costante ricerca tecnica, sonora ed artistica che, a costo anche di sacrificare talvolta l’immediatezza, mira sempre e comunque a trasmettere qualcosa all’ascoltatore: è musica che parla ai lati più inconsci dell’essere umano o che semplicemente racconta qualcosa, che crea intense atmosfere o travolge con funambolici assoli, ai limiti di ogni umana possibilità. Di certo non è musica per tutti, ma neanche per pochi eletti: basta solo essere aperti, farla entrare dentro e poi tutto il resto viene da sé. Un sentito ringraziamento va quindi innanzitutto a chi ci ha fatto provare quest’anno queste forte emozioni, vale a dire a tutti i musicisti che abbiamo menzionato in queste pagine. A noi, come sempre, l’arduo compito di provare a raccontarvele: non sempre è facile descrivere l’ineffabile a parole, a volte magari ci siamo riusciti, a volte meno, comunque abbiamo fatto del nostro meglio con costanza ed impegno. E proprio per questo, il ringraziamento più grande va a tutti voi che ci leggete e che ci gratificate con i vostri apprezzamenti o ci aiutate a migliorarci con le vostre critiche. Per quest’anno è andata ma badate bene, un altro anno sta iniziando e si preannunciano già novità molto interessanti! Siete avvisati! Stay tuned!
METAL CORE
a cura di: Valeria Di Chiaro "Starchild" e Alex "Ve"
Il 2009 si avvia alla conclusione, vi risparmio i soliti incipit del tipo “se ne è andato un altro anno”, “come vola il tempo”, “chi non lo fa a capodanno non lo fa tutto l’anno”. Lasciamo frasi del genere agli amanti del presepe, delle lacrime, dei bigliettini zuccherosi, dell’intimo rosso e dell’albero imbiancato.
Ad un giorno dall’arrivo di Colui che ogni anno rinasce il 25 Dicembre –Babbo Natale- io mi ritrovo impelagato a scrivere un sunto di quanto espresso in ambito ‘core. E’ doveroso premettere che ne io ne altri abbiamo una memoria degna di Pico della Mirandola, e ricordarsi tutto sarebbe cosa improbabile. Detto ciò, l’articolo avrà ad oggetto le uscite che, nel bene o nel male, ci hanno colpito, e se verrà tralasciato qualche album che vi ha particolarmente impressionato, beh non fatene una tragedia, non ne morirà nessuno, vi scolerete un paio di birre e riscoprirete il buon umore. Per favorire una varietà di giudizio l’articolo è stato realizzato in sincrono con Valeria, una ragazza così gentile e paziente da riuscire a sopportare anche il peggiore collega possibile, me.
Il 2009 a mio modo di vedere è stato un anno decente dal punto di vista discografico. Non eccezionale, sia chiaro, ma decente. Nel complesso si è visto un calo delle quotazioni del metal/core, genere che ormai si era palesato perfino nelle onde sonore di palestre e saloni da parrucchiere. Il thrashcore sopravvive, ma non fa il botto che pensavano alcune case discografiche. L’Hardcore va forte ovunque, in Italia meno, ma del resto questa è terra di tradizioni nazional/popolari in alcuni casi becere, in altri peggio. Il death/core, nelle sue molte variabili, si dimostra a mio avviso il genere che tiene meglio. Si parlasse di mercato azionario sarebbe il tipico titolo sicuro. In pratica questo stile per il metal è un po’ come i titoli energetici per gli investimenti in borsa: “investi nel death/core e difficilmente perderai dei soldi”. Probabilmente non sarà la svolta della vita, ma in tempi di magra non è poco. Superata questa metafora banale (provate voi a scrivere dopo una fetta di panettone che vi si pianta sullo stomaco come lo stucco fresco), direi che si può passare ai dettagli. Smembriamo questo cadavere sonoro e guardiamone i pezzettini un po’alla volta (Sentiamoci anatomopatologi, perdincibacco). Il nostro amichetto puzza di ‘core, almeno di questo odora il corpo che ci è stato rifilato per l’analisi di fine anno. Ergo: Hardcore/Deathcore/Brutalcore/Metacore ed affini. Dato che la fetta di panettone si è solidificata e pian piano sta prendendo vita, prima che le uvette reclamino una via d'uscita e le mie ascelle gridino vendetta (maledetti deodoranti intimi), è ora di darsi una mossa. Valeria accendi il lettore e veniamo ai dettagli. (Alex Ve)
Caro Alex, con la disattenzione di cui tu hai già fatto accenno, dovuta alla fettona di panettone e ai pranzi festaioli e pantagruelici che precedono il suddetto dolce, temo ci vorrebbe una tanica di benzina e un pacco di fiammiferi per accendere il lettore… ma veniamo a noi e proviamoci. (Valeria Di Chiaro)
Killswitch Engage
I Killswitch Engage sono una band dal sound estremamente peculiare, specialmente grazie al cantante Howard Jones, la cui voce estrema sarà forse ordinaria, ma che sul cantato pulito ha uno dei timbri più caldi ed emozionanti che abbia mai sentito. E di emotionalcore effettivamente dobbiamo parlare, se proferiamo dei Killswitch Engage, che a partire da The End of Heartache sono stati tacciati da molti di esagerata sdolcinatezza. Evito di soffermarmi sulla disputa, consapevole che per altri ciò potrebbe anche essere considerato un punto forte, perché effettivamente di gruppi che fanno musica violenta ce ne sono a manetta (cosa che comunque ci piace), ma di formazioni in grado di toccare con la propria musica determinati tasti passionali a conti fatti ne rimangono veramente poche. L’ultimo album tuttavia, pur conservando quella vena emozionale caratteristica, non è all’altezza dei precedenti lavori e ricade nella banalità e nel “già sentito”. (Valeria Di Chiaro)
Col nuovo disco questi eterni ragazzi hanno dato due conferme. La prima: sono tecnicamente preparati, la qualcosa permette loro di fornire un prodotto formalmente ineccepibile. La seconda: hanno esaurito le idee, la sostanza è ormai poca, quindi o si danno una mossa oppure faranno la fine del genere che hanno contribuito a diffondere. Una fine lenta, ma inesorabile. (Alex Ve)
Suicide Silence
I Suicide Silence mi lasciarono decisamente di stucco con il debut ufficiale The Cleansing. Pensai che una band così, che spunta come un fungo e ti propone un capolavoro del genere, fosse una delle primarie ragioni per cui vale la pena ascoltare deathcore. Ma, come si suol dire, il pericolo è dietro l’angolo: difatti dopo un lavoro di qualità elevata, non è facile mantenere alto il livello senza rischiare di ripetere schemi già collaudati. Questa è a conti fatti la pecca di No Time to Bleed, che tende a riproporre gli stessi clichè che già avevamo conosciuto nel primo lavoro. Ma d’altra parte non biasimo del tutto la band statunitense, in quanto penso si tratti di una scelta logica volta a accattivarsi gli amanti del genere e i fans già conquistati. Perché cambiare e rischiare con qualcosa di nuovo? No Time to Bleed è comunque un album con un suo perché. (Valeria Di Chiaro)
Buoni all’esordio, sono calati quando ci si aspettava il passo in avanti. Se non variano la proposta andranno semplicemente ad aumentare il numero della band death/core che in questo genere galleggiano. Come detto in sede di recensione: “ Sono come dei colpi di pistola, all'inizio ti volti e ti sorprendi, poi ci fai l'abitudine. (Alex Ve)
Hatebreed
Loro, gli alfieri della forma più atavica di metalcore, il moshcore: un filone fin troppo primordiale che già non è il mio favorito, ma con l’ultima uscita viene anche meno la qualità dei precedenti lavori; cosa ancor più negativa considerato che l’album è l’anonimo e proprio per questa ragione avrebbe dovuto rappresentare al meglio la band. Appena sufficiente. (Valeria Di Chiaro)
Gli Hatebreed sono l’iconografia dell’hardcore. Ancora una volta. Lo sono nei cappellini, negli accordi, nei tatuaggi, nel modo di raffrontarsi col pubblico, nei testi, nei simboli e nella rabbia (una volta vera ora, forse, costruita). Non fanno alcunché di speciale, e nel genere di riferimento c’è di meglio, ma loro sanno come vendere. Si muovono come un’industria, calcolano tutto ma senza farlo intendere troppo. In questo ultimo album hanno addirittura tentato un lieve cambiamento di stile con risultati purtroppo alterni. (Alex Ve)
The Black Dahlia Murder
Ho aspettato con trepidazione Deflorate dei The Black Dahlia Murder, e di primo acchito l’ho adorato, perché è un concentrato di swedcore tecnico, genere che apprezzo molto. Alla lunga però, l’entusiasmo ha lasciato spazio alla noia, e il numero dei miei ascolti è scemato sempre di più. Sempre la stessa solfa! (Valeria Di Chiaro)
Questa band l’ho sempre considerata un clone da laboratorio. Mega produzione pompata, tanto “copia e incolla” dal death svedese, e una spruzzata moderata di ‘core. Vanno avanti così da anni ma nel frattempo la personalità latita e i miei sbadigli aumentano. (Alex Ve)
Every Time I Die
Normalmente parlerei della ridondanza come di un difetto. Nel caso degli Everytime I Die invece, essa è assolutamente il loro pregio, capace di ipnotizzare e non stancare mai l’ascoltatore. Attitudini sludge su un letto di post hardcore punk arrabbiato fanno di questo album una carta assolutamente ben giocata. (Valeria Di Chiaro)
Uno dei dischi dell’anno. Seguo gli Every Time I Die dagli inizi. Col nuovo album si sono confermati sui livelli precedenti. Continuando su questo standard potrebbero diventare i Refused d’America. Non è per niente poco, anzi. (Alex Ve)
Despised Icon
Attila, il flagello di Dio, direbbe ‘Viuleeenza!’. Io invece dico Despised Icon. E in particolare, Day of Mourning, il loro nuovo album, che è davvero un cataclisma, e se ascoltato a volume molto alto potrebbe farvi sanguinare le orecchie. Ma in una forma di masochismo tornerete ad ascoltarlo mille e mille volte. Questo è brutalcore ragazzi! (Valeria Di Chiaro)
Se navigate a vista tra death/core e brutal, Day Of Mourning è il vostro disco. Un capolavoro di tecnica, furia, velocità, mosh, break e ripartenze. A tratti si fatica a credere nell’origine umana del batterista. I Despised Icon si confermano una realtà del presente, e nello stesso tempo una sicurezza per il futuro. Enormi. (Alex Ve)
Caliban
Chi lo dice che quando si invecchia si diventa più fiacchi? I Caliban ci dimostrano la tesi contraria, perché seppur da più di un decennio sulla scena, pubblicano un nuovo album molto più tosto e violento rispetto a ciò che fino ad ora ci avevano abituato a sentire. Riducono anche i clichè banali e chorus smielati, anche se purtroppo non se ne liberano del tutto. Nel complesso un bel lavoro metalcore nel senso più ‘commerciale’ della parola (da non leggere necessariamente in maniera negativa): degno di più di un ascolto.(Valeria Di Chiaro)
I Caliban si elevano dalla mediocrità alla sufficienza. E’un gran risultato, per loro almeno. (Alex Ve)
Devildriver
Devildriver, e sai cosa ascolti. Con Pray for Villains fanno centro: groove a manetta e riconoscibilissimi fin dalla prima nota, cosa assai rara, in un panorama musicale fatto di band che tanto si somigliano fra loro. Invece il marchio di fabbrica Devildriver fa decisamente la differenza, e loro sembrano sempre riuscire a perpetuare il loro enorme talento. (Valeria Di Chiaro)
Bravi, bravi e ancora bravi, Sono partiti anni fa in sordina, come nuova band dell’ex Coal Chamber Dez Fafara. Niente di più, niente di meno. Negli anni sono diventati un riferimento. Riporto quanto espresso nella recensione.
Si confermano costantemente, e per la qualità e per le doti tecniche.
Sono stati una scommessa, che inizialmente godeva di pochi crediti, ed oggi ne ha parecchi.
Lavorano sodo in studio e live, al punto che non si riesce a capire dove trovino il tempo per coniugare dischi validi ad un numero di concerti sempre maggiore.
Questa band, nonostante sia ormai ampiamente affermata, fa dell'umiltà la propria bandiera, costantemente.
Dez Fafara Presidente del Consiglio. (Alex Ve)
Converge
Converge, un nome una garanzia: uno dei rarissimi esempi esistenti su questa terra di chaos ordinato. Il noisecore non è cosa facile, non ci vuole niente a cadere nella confusione più totale. E
invece i nostri, con il loro nuovo Axe to Fall, sanno articolare violenza, dinamica, sperimentazione, rabbia e tecnica alla perfezione. Chapeau. (Valeria Di Chiaro)
Chi lo ha detto che l’hardcore ha un’unica coniugazione!? I Converge non sono di New York e non scopiazzano. I Converge sono quel che suonano. Sono la rabbia, sono l’impulso, sono la forza del subconscio filtrata dalla coscienza. Elevano l’isteria al di sopra di mera deriva del carattere, pensate sia facile riuscirci? (Alex Ve)
The Red Chord
I The Red Chord, con il loro ultimo parto Feed Through The Teeth Machine, aumentano la percentuale di sonorità old school a discapito della brutale modernità che li aveva distinti sui primi lavori; amavo definire il loro genere, se non deathcore, come brutalcore. In quest’album c’è poco di hardcore e molto di death - di stampo americano - ma esso ci cade comunque in testa con lo stesso impatto di una bomba al fulmicotone. (Valeria Di Chiaro)
Lamb Of God
I Lamb of God sono un’altra di quelle band con cui vai sul sicuro, un’altra di quelle formazioni dal sound inconfondibile. Con la loro propensione al groove incontenibile, sono alfieri del post-thrash più coriaceo e di qualità. E con un titolo così, Wrath, non potevamo che aspettarci un album inca**atissimo. Amen. (Valeria Di Chiaro)
Partiti anni fa come semplice band death/core, negli anni hanno conquistato una fetta sempre maggiore di pubblico. Ormai sono delle stars, il loro seguito continua ad aumentare. I nostri si sono staccati progressivamente dal genere di riferimento, puntando verso qualcosa di diverso, maggiormente groovy e meno oltranzista. Paiono più maturi, più sofisticati godono di un Randy Blythe che disco dopo disco non smette di stupire. Wrath è un gran platter. Wrath è Lamb Of God 2009, al 100%. (Alex Ve)
Darkest hour
Un album che mi ha colpito assolutamente è stato certamente The Eternal Return, degli ottimi Darkest Hour. Incalzante, più tecnico che mai, cattivo ma malinconico e dissonante seppur melodico melodico. Per quanto mi riguarda possono tornare quante volte vogliono se lo fanno in questa maniera! Fantastici. (Valeria Di Chiaro)
Mastodon
Magari non saranno parte integrante del genere qui trattato, ma quando si ritiene un album il migliore dell’anno è bene spendere qualche parola. Crack The Skye è il DISCO. Questo perché ha un sound che trascina senza schizzare alla propria conclusione, che si fa gustare un secondo alla volta, che precorre i tempi senza dimenticare il passato. Non lo idealizza, non ne fa un totem e probabilmente, capacità di altri permettendo, condurrà verso un futuro generale di maggior qualità sonora. Consigliato a tutti, in particolare a chi voglia gustarsi una lezione di stile assolutamente unica. " No escape, binding spirits, no escape, trapped in time and space". (Alex Ve)
Architects
Architects. Pollice verso l’altro alto per una delle migliori realtà dell’hardcore moderno apprezzate quest’anno. Un tripudio di mathcore e noisecore capace, con la sua violenza amara e malinconica, di straziare ma contemporaneamente appagare emotivamente l’ascoltatore. Quasi commovente. (Valeria Di Chiaro)
Iwrestledabearonce
Quel che mi sorprende è che dietro questo impronunciabile nome si celi una band che cerca con forza di far litigare le cellule cerebrali tra loro in modo che i conseguenti impulsi che derivano al cervello e si spostano sui 5 sensi creino una sorprendente confusione. Avete capito qualcosa di quel che ho scritto? No? Ottimo, ascoltate It’All Appening e se sopravvivrete al marasma di mathcore, grind, electro/dub, e acid jazz ne riparleremo. (Alex Ve)
Infernal Poetry
Stesso discorso fatto per i Mastodon. Difficile catalogarli nel core ed affini, ma per il sottoscritto Nervous System Failure rappresenta quanto di meglio prodotto in Italia nel 2009. Ironici, preparati, intelligenti. Questo sono gli Infernal Poetry. Se i puristi dovessero storcere il naso, continuando nella solita lotta contro i mulini a vento e lamentando noiosamente il distacco da tutto ciò che è “true”, beh lasciamoglielo fare. Dopo tutto hanno diritto anche loro di dire la propria, prima che come avviene in questi casi, sia il tempo a confinarli nel dimenticatoio di ricordi troppo lontani. Nervous System Failure è al di sopra della media, nettamente, per il coraggio espresso nel cercare soluzioni che siano tanto contemporanee a questo tempo quanto dirette verso un futuro ancora indefinito. (Alex Ve)
Shadows Fall
A volte per una band finisce il processo di crescita e inizia quello di invecchiamento. E così è successo agli Shadows Fall, che con il nuovo Retribution si lasciano alle spalle gli anni d’oro di Somber Eyes to the Sky e The Art of Balance e ci presentano un album povero , ridondante, heavy a buon mercato, basato su un mix di influenze che vorrebbero essere alternative ma si trasformano in un accozzaglia che in tutta sincerità possiamo anche fare a meno di ascoltar. Pessima la produzione. (Valeria Di Chiaro)
Psyopus
Mi hanno tanto deluso col nuovo Odd Senses quando mi avevano colpito col precedente, Our Puzzling Encounters Considered. La schizofrenia è problematica che va trattata accuratamente, sia in sede terapeutica tanto in quella sonora. Se si esagera si può stupire e gli Psyopus col nuovo disco hanno esagerato, ma in negativo. Troppa confusione, troppi punti di partenza, ma nessun approdo. Come ho detto in sede di recensione:
“ Gli Psyopus col disco d'esordio hanno vinto il primo grado di giudizio, con questa seconda opera hanno perso in Appello. Rimane comunque la Cassazione, sperando che un eventuale terzo album abbia argomenti migliori per la propria memoria difensiva. ” (Alex Ve)
Arsonists Get All The Girls
Che siano scappati da un centro di igiene mentale? Probabile. Evviva i matti allora, evviva il mathcore, evviva Portals. (Alex Ve)
Arkaea
Con Year In The Darkness eccoti arrivare la band al 50%. Metà Threat Signal e metà Fear Factory. Il risultato? Metalcore troppo scontato per essere degno di nota. Ci vuole personalità se si vuole rappresentare la propria idea come qualcosa di definito, altrimenti questa rimarrà solo una parentesi. (Alex Ve)
Burnt By The Sun
L’unica nota dolente di Heart Of Darkness è che come annunciato dalla band, questo rappresenta per loro il canto del cigno. Per il resto questo disco è lo sludgecore, ai livelli più alti, quelli che solo i Burnt By The Sun possono raggiungere. Classe, classe e ancora classe. (Alex Ve)
Sworn Enemy
A mio modo di vedere sono assolutamente degni di essere ricordati in questo 2009 nell’ambito hardcore. Sia chiaro, non inventano niente di nuovo, ma quel che propongono è dannatamente efficace. Total World Domination è la rabbia di strada che trova la sua manifestazione sonora, è l’hardcore che non si piega, a niente. Infilate i guantoni e preparatevi all’ascolto. (Alex Ve)
Dying Fetus
Grazie a loro il brutal è diventato brutal/core. Probabilmente hanno perso parte di quella componente mosh che li aveva contraddistinti pochi anni fa, ma rimangono il riferimento, unico e in arrivato, per chiunque abbia in mente questo tipo di sonorità. Sintetizzando: i Dying Fetus riusciranno mai a sbagliare un disco? Sì, certo, quando io indosserò un mantello e girerò per Gotham City. (Alex Ve)
Backjumper
Come da monicker, amo chiamarli simpaticamente “Saltatori all’indietro”, ma questi cinque ragazzi pugliesi sembrano fare sempre più passi avanti nella scena pseudometalcore. Precisamente, dicono di fare crossover-core, anche se tale definizione è alquanto riduttiva: i nostri, infatti, eseguono a regola d’arte un mix di metal, nu-metal, metalcore, hardcore, groove e chi più ne ha più ne metta! Ascoltare per credere, Across the Deadline, il loro debut album sotto Killer Pool Records, un lavoro estremamente valido, perché innovativo e sperimentale senza tralasciare la violenza e la pura attitudine hardcore. E sono anche italiani, che volete di più? (Valeria Di Chiaro)
Between The Buried And Me
Volete un disco che vi catturi da subito? Lasciate perdere i Between The Buried And Me. Avete tempo per cogliere le molteplici sfaccettature comprese in un album? Bene, The Great Misdirect farà al caso vostro. Un album completo, un'opera in cui i concetti sonori vengono elaborati ancora una volta e modulati nell'insieme, costruendo la sostanza attraverso la forma, in cui il passato più ricco, quelli degli anni '70, si sposa ad un presente irruento, furente nella propria attualità, mai domo, in continua evoluzione. (Alex Ve)
Incoming Cerebral Overdrive
Si definiscono “spaghetti-core” questi cinque ragazzi italiani. In realtà il loro sound è intriso di mathcore, senza però perdere quella forza, quell’impatto detonante tipico dell’hardcore. Malati di sincopazione e cuginetti nostrani dei The Dillinger Escape Plan, gli Incoming Cerebral Overdrive realizzano un album originale, almeno per l’Italia. Curato nei dettagli, dalla produzione al mixaggio, questo Controverso mostra la via giusta da seguire per chi cerca di realizzare dischi che vadano al di là del prevedibile. Bene così! (Alex Ve)
CONCLUSIONI
Un altro anno è passato (evviva le frasi fatte). Sembra ieri che scrivevo l’articolo di fine anno per il 2008, un onore per me avere l’ultima parola su quelle che erano state le uscite in ambito metalcore e affini. E anche quest’anno mi son trovata nell’onorevole seppur difficile posizione di giudice. Vi ricordate come conclusi il mio pezzo? Pretenzioso da parte mia sperare che rispondiate si, dunque per rinfrescarvi la memoria cito di seguito le mie stesse parole: “E quindi tanti auguri per un buon 2009 a tutte le band metalcore, affinchè ci portino tanti album di valore, e tanti auguri anche agli ascoltatori, in modo che possano ricevere un nuovo anno di ascolti a loro graditi.” Quindi, ad un anno di distanza, mi domando se queste mie parole si siano realizzate. Tutto sommato ritengo di sì, quindi possiamo essere abbastanza soddisfatti, non del tutto forse, ma quanto basta. E io rinnovo lo stesso augurio per l’anno a venire. Lo so, sono sdolcinata… Ma il succo del discorso è questo: SPACCATE TUTTO, sia che facciate musica, sia che la ascoltiate. BUON 2010. (Valeria Di Chiaro)
Come già detto in capo allo scritto, l’anno in corso è stato discreto, con alcune buone conferme, e qualche delusione. Novità? Poche. Se non altro la qualità è stata accettabile, in alcuni casi sorprendente. Io, al di là dell’hardcore, dei suoi affini, della puzza di sudore, degli annessi, dei connessi, delle mode, delle critiche, delle statuette lanciate e della disciplina olimpica che potrebbe derivare dal lancio delle stesse, ho capito una cosa, ed è una cosa fondamentale. Ho compreso come farmi piacere l’ultimo album dei Lacuna Coil. Semplice, mi basta inserire il loro disco nel lettore, chiudere gli occhi ed immaginare Cristina Scabbia che canta seduta sulle mie ginocchia, nuda. Ed è tutta un’altra musica.
Buon anno gente, e coltivate il vostro lato critico. Sempre. (Alex Ve)
FOLK
a cura di: Fabio Petrella "Quorth_on"
Il 2009 è stato un anno d’intense aspettative, di graditi ritorni e sonanti delusioni per quanto concerne il variopinto universo folk. A cavallo della gelida aria che da settentrione muove a sud le note, sospinte da correnti artiche, si diffondono a tutte le latitudini, gonfiandosi e assottigliandosi secondo le emozioni.
Come la natura che in autunno va lentamente a spegnersi, così la nostra annata ricca di folclore va in letargo. Rincuorati dal tepore di una tana, lasciamo che fuori avanzi con passo incerto il vecchio inverno, aspettando la bella stagione per una nuova, armoniosa fioritura.
Le sensazioni a livello musicale, il più delle volte, vanno estrapolate da un groviglio di sonorità, spesso distanti tra loro. Come spesso accade, infatti, è la combinazione tra diversi generi che da vita e forma all’armonia, o musica. Esempio lampante è il folk metal. In un calderone ribollente si amalgamano pacificamente death, black, pagan, viking, ambient e chi più ne ha ne metta. Il fenomeno folk non è mai isolato e, a livello di matrice pura, troviamo poco o nulla. Nell’anno che sta per chiudersi solo gli svizzeri Eluveitie, con l’acustico The Arcane Dominion, rientrano nell’originario concetto folk. Gli elvetici, di solito bravi a gestire una sound a corrente alternata folk/death, piazzano un album ispirato totalmente alla tradizione celtica, che fallisce nell’obiettivo precipitando miseramente in un baratro di noia. Da annoverare tra le delusioni, ma non è il solo. Spostandoci più a nord, fino a penetrare nei fiordi, ci accorgiamo che Torbjørn Sandvik, il ragazzo prodigio che ha saputo ringiovanire in Till Dovre Faller e Evige Asatru le vecchie ballate norvegesi, con Landkjenning alza troppo il tiro, stemperando un poco le aspettative che si erano create intorno ai Glittertind. I connazionali e debuttanti Wardruna, invece, con il loro ambient spirituale e sobrio rappresentano una felice realtà. Runaljod - Gap Var Ginnunga vive di emozioni forti e profane e si specchia in un mondo arcano e dimenticato. Anche i Trollfest con Villanden fanno nuovamente gridare all’arrembaggio. Con il solito e cinico black/folk festaiolo i pirati delle coste ci regalano, come da prassi, un’opera spietata e tagliente. Una conferma.
Dalla vicina Svezia arriva la più scottante delusione. Dopo Vargstenen, perla di viking/folk, i Månegarm otturano la propria vena creativa in Nattväsen, le Creature della Notte, interrompendo malamente un ciclo formidabile. Flop. Da un estremo all’altro passiamo alla Finlandia, patria del folk metal di nuova generazione. Ecco allora imbatterci in Karkelo, la festa musicata dei goliardici Korpiklaani. A suon di humpaa e vodka i finnici ritornano ai propri standard dopo il mezzo passo falso di Korven Kuningas, gettando le basi di una nuova sfrenata danza. Insieme al Clan della Foresta, che oramai da anni allieta le nostre giornate spente, riabbracciamo con rinnovato spirito gli Ensiferum di Finsterforst dal riformato sound tagliano l’aria circostante facendo strage dei concorrenti, aggiudicandosi il gradino più alto nel nostro podio di metallo. Zum Tode Hin è l’album che non ti aspetti. Prendendo spunto dalla scuola pagan tedesca, resa nobile da gruppi quali Menhir e Odroerir, i germanici sfornano un’opera gorgogliante di sentimento, avvolgente come non mai, e fresca come l’aria di bosco. Un viaggio, quello dei teutonici, carico di passione e impulso pagano, tra foreste oscure e ripidi pendii, allietato dal suono a tratti spietato a tratti fatato di flauti, chitarre acustiche e fisarmonica. Lasciando la Foresta Nera occupiamoci in breve del Mittelalter-rock. Anche la sua storia passa dalla Germania. Gli Schelmish e i Saltatio Mortis, che rientrano tra gli esponenti di maggior spicco e successo, sfilano quasi inosservati in questo duemilanove, annegando nell’oceano turbolento del mercato.
A Nord della Scozia sorgono le Isole Fær Øer, o delle Pecore. Come piatto tradizionale ci viene presentato By The Light of The Northern Star. I faroesi Týr, che in passato hanno saputo comporre album di grande spessore come Eric the Red, dimostrano ancora una volta di aver perso la bussola, scomparendo tra le nebbie di sonorità inflazionate e scontate. Dove è finita l’originalità dei primi dischi?
Chiudendo l’area europea vediamo di gettare un’occhiata alla Madre Russia. Gli Svartby, originari di San Pietroburgo, subiscono troppo l’influenza dei mostri sacri Finntroll. Così Riv, Hugg Och Bit di per sé sufficiente, lascia il tempo che trova a causa della spudorata somiglianza con l’istrionica band di Helsinki, calando a picco. Diverso invece il discorso per gli instancabili moscoviti Arkona che confermano le proprie qualità in Goi, Rode, Goi! di sicuro gusto ed effetto.
Seguendo l’antica rotta attraverso l’Atlantico sbarchiamo sulle coste di quel territorio indicato come Canada francese. Facendoci largo tra le sterminate foreste nordamericane arriviamo alle porte di Montréal, in Québec. Tra una pinta di birra e l’altra ci lasciamo trasportare dalle note festaiole e straripanti dei Blackguard, promettente folk band giunta al debutto con Profugus Mortis. Ispirato al neo-folk bombastico di radice scandinava, la proposta della formazione vira su lidi già esplorati da band quali Turisas o Equilibrium, riuscendo comunque a portare una ventata di freschezza. Il nostro vorticoso tour continua e termina sulla costa opposta del Canada, sull’isola di Vancouver. Qui nasce e si sviluppa il progetto di Lindsay A. Kerr che porta il nome di Black Lotus. Traendo spunto dalla scuola norvegese i canadesi dipingono un black/folk atmosferico dai contorni malinconici che ricorda da vicino i Borknagar. Harvest of Season, uscito in estate, si erge dall’oceano e corre dalle radici della terra fino alla volta del cielo, disperdendosi come un’oscura preghiera nell’etere. Un lavoro genuino e idolatra che conferma la bontà della band di Victoria, Columbia Britannica.
Al calar del sole il paesaggio si quieta e l’euritmia della natura si stabilizza in un giusto riposo. Al centro di una fitta boscaglia crepita un fuoco. Attorno ad esso è silenzio. Da lontano, come un ricordo sfocato, proviene il mormorio della fauna notturna. Le lingue di fuoco avviluppano con ferocia la catasta di legna che, senza consumarsi, arde all’interno del cerchio di pietra. Distante dal falò una botte in rovere tracima di schiuma e strane bollicine. Dalle profondità del firmamento la luna fa sfoggio della sua veste cristallina. Lentamente e con passo incerto, spunta dal bosco un’inebriante folla ubriaca che stentorea va a raccogliersi intorno alle fiamme. Creature di ogni tipo partecipano allo spensierato convivio e canti di baldoria si alzano verso le stelle perdendosi nella notte. Un troll dispettoso, da dietro un cespuglio, ci indica un frassino secolare. Da una cavità del suo tronco, simile a una ferita della corteccia, pare si avvii un sentiero particolare, come una sorta di porta segreta tra due dimensioni. La mulattiera, tagliando per la radura, tira dritto verso la comitiva raccolta intorno al focolare, scomparendo tra le felci. Ora, se posso darvi un consiglio, la prossima volta che vi troverete a vagare per boschi, guardatevi bene intorno, che trovare la via per la selva magica non è poi così difficile, basta solo volerlo. That’s All Folks!
INDUSTRIAL
a cura di: Giuseppe Corasaniti "Corax"
Se dovessi esaminare la scena metal degli ultimi anni, avrei delle grosse difficoltà a prendere in considerazione una specifica metamorfosi sonora del genere. Quasi sempre leggo terminologie diverse per definire varie sfumature che alla fine si rivelano sempre ruotare intorno al perno centrale: il grezzo distorcere del metallo e niente altro. Solo apparenze, il più delle volte, e raramente qualche notevole spunto degno di originalità. Spesso però, nella continua ricerca per proporre qualcosa di nuovo, entusiasmante e che soprattutto posso lasciare il segno, si attua il fine esasperato e un po’ subdolo, di poter allargare semplicemente il proprio pubblico. Questo all’ascoltatore appassionato, non passa affatto in sordina, a differenza di chi della scena metal (ma non solo) ne sente parlare solo di striscio. Per spiegarmi meglio e facendo un paragone privo di qualsiasi retro pensiero, è quello che avviene quasi giornalmente nell’ambito religioso, dove molte persone usano come esca per aumentare le masse e il proprio tornaconto personale, un sistema molto semplice: si prende un testo sacro e dalla sua personale interpretazione si divulga il sapere supremo di una verità assoluta che stravolgerà il mondo, aumentando il seguito ma confondendolo in maniera disastrosa. Ne più e nemmeno quello che avviene tentando di dare una nuova interpretazione e strada ad un genere musicale che ha una realtà forte e ben definita. Risultato? Molte persone sono realmente convinte di ascoltare metal conoscendone solamente l’eco della scorza e nemmeno lontanamente il succo della vera polpa che risiede all’interno di questo magnifico frutto. Apprezzo l’industrial metal, lo trovo originale, fantasioso e con gli attributi, ma fondamentalmente lo ritengo anche un tentativo di far combaciare un genere di musica estrema, ad una tipologia molto commerciale e di facile ascolto per tutti. Sia chiaro, il discorso non vale in maniera assoluta per tutte le realtà, ma se dovessimo prendere come spunto il gruppo portante e di sicuro più in voga del settore, i Rammstein, cosa propongono se non allettanti sonorità che arrivano in maniera più che comprensiva all’orecchio di chiunque? Non dico ciò per screditare il gruppo, tra i fondatori e i divulgatori dell’industrial, ci mancherebbe. E’ che rimango male se più di una volta chi fa culto di questo genere, risponde a domande su chi sono Pantera o Black Sabbath, tanto per citarne due tra i più conosciuti, “Animale che vive in Africa” e “Sabato Nero” (fatti realmente accaduti purtroppo). E’ anche vero che sarebbe fin troppo riduttivo fare di tutta l’erba un fascio, porlo come una mera trovata per assemblare masse e sfatare l’alone di elite che il metal, come jazz, classica e via dicendo, ricoprono sicuramente. L’industrial, come dice il nome stesso gode di una prepotenza grezza e personale, nata dal collaudo e dall’inserimento di nuove strumentazioni come l’elettronica e che si rifà fortemente a quei reali rumori industriali decisamente pesanti e ripetitivi. Un po’ come quei macchinari che ripetono assiduamente lo stesso interminabile frastuono e ticchettio per un’infinità di tempo. Ed è questa la caratterista che per assurdo, può ricondurlo addirittura alla musica da discoteca di particolari tipologie. Fateci caso ma ciò non è affatto una blasfemia. Ovviamente con le dovute differenze e a buon intenditor...
Detto questo, che resta pur sempre un mio parere personale assolutamente criticabile, facciamo una panoramica del settore analizzando alcune uscite industrial di quest’anno:
IN POSITIVO...
Parto con quelli che reputo i migliori lavori, riallacciandomi immediatamente con i sopra citati Rammstein. Se pur non all’altezza delle grandi produzioni precedenti e quasi tutte assolutamente impeccabili ( Mutter in assoluto), il gruppo tedesco sforna un buon lavoro, orecchiabile e gradevole all’ascolto, con il solito impatto devastante e metodico, ma privo di spunti eccezionali come in realtà hanno più di una volta dimostrato di saper fare. Molto interessante il lavoro degli americani Daath, che discostandosi dalla forte presenza di tastiere elettroniche e dedicandosi più ampiamente all’aspetto death del genere, sfornano il full lenght The Concealers di assoluto valore e potenza. Tra tutti tengo in considerazione con nota di merito il bel lavoro dei The Project Hate MCMXCIX, un album che raccoglie due distinte anime: quella bruta e violenta del death metal e quella più soft, melodica, quasi gothic. Un misto eccellente e pieno d’inventiva che riesce ad alternare brillantemente attimi di piacevole rilassatezza a sfregi metallici vigorosi. Consigliato. Nel senso più stretto del genere, troviamo i Prong, che con Power of the Damn Mixxxer, sfornano una prova decisa d’industrial vecchio stampo, basilare, martellante e spinto al punto giusto nelle ritmiche. I Galactic Industry vanno dritti sul mio personale podio, con Key to Space Love: in una sola parola industrial, non cattivo ma puro, che fa muovere il capo e sorseggiare una buona birra. Una bella bastonata in faccia che ultimamente gira spesso nel lettore mp3 è l’ultimo degli Inchoate: ritmiche serrate e soli di chitarra decisamente funambolici, non per virtuosismi, ma per atmosfere artificiose che riescono a far viaggiare. Stupendo. Interessantissimi anche i russi Conflict con l’album ProtoType; è come prendere i Rammstein rendendoli ancor più maligni nelle distorsioni, nelle ritmiche e nel virtuosismo di alcuni passaggi. I Count Nosferatu Kommando sfornano un full lenght che incarna in pieno l’essenza industrial: elettronica e metallo puro regolate alle perfezione, carattere ben delineato e personale, carichi di espressività che coinvolge in pieno l’ascoltatore. Nel loro industrial prettamente metalcore, i giapponesi Crossfaith sono sostanziosi e nitidi nell’esecuzione, melodie semplici da seguire ma dotate di ottimi accorgimenti che rendono il lavoro più che gradevole. Gli spagnoli Decline, al loro primo full lenght, producono un album particolare, similare ai primi lavori dei finlandesi Him, decisamente dinamici e presenti. Da rivedere solamente la voce con qualche sbavatura di troppo e la scelta coraggiosa della lingua madre. Nel complesso, direi interessanti, considerando si parla di un gruppo alla prima esperienza. I Dimensional Psychosis sono l’estremizzazione del genere industrial: melodie black contorte in ritmiche esasperate e supportate da elettronica pesante come un macigno. Pesanti, violenti con brevi attimi di tregua. Per chi ama sfumature jazz, e sonorità anni ‘80, sarà accontentato dai canadesi Metatronik. Brani molto vari tra loro, assolutamente privi di foga ma esclusivi nelle dinamiche e nei passaggi. Gli inglesi Mine[thorn], contagiati da un sano black metal, compongono Junk Hive Noir ricco di atmosfere oscure e ambientazioni dal sapore medievale. Personale l’ Industrial/Folk/Black Metal, dei Sjenovik: cattivo e ipnotico, caratteristico nell’utilizzo di alcuni suoni che sembrano elementi di disturbo emotivo, più che accompagnamento. Per quanto non mi abbia colpito particolarmente, il full lenght dei The Axis Of Perdition, è davvero originale e tutto si può dire tranne che ripetitivo. Il gruppo evidenzia in maniera forse troppo estrema un industrial alternativo, proponendo dissonanze e atmosfere “cittadine” caotiche, ma che hanno dalla loro un fascino complicato da cogliere ma esclusivo. Degni di nota e prepotenti nell’impatto, gli spagnoli Symawrath, calorosi e dosati al punto giusto nell’utilizzo di synths taglienti. Concludo le mie personali uscite positive con i melodici e romantici norvegesi Theatre of Tragedy, che con suoni morbidi e distorsioni tristi, riescono ad alternare con maestria voce femminile soave, con una grezza e gutturale maschile: un idilliaco connubio di disperazione.
...IN NEGATIVO
Per quello che riguarda il negativo nell’ambito industrial 2009, sicuramente grossa la delusione per il full lenght dei Ministry, gruppo di rilievo del genere che sforna un album veramente privo di spunti e a tratti irritante nel modo più assoluto del termine. Gli Helel con A Sigil Burnt Deep into the Flesh, lasciano l’amaro in bocca con una drum machine smisuratamente tirata all’estremo delle potenzialità umane, in ritmiche rapidissime e confusionarie. Tranne qualche spunto, niente di nuovo al fronte. Dall’oriente arriva Heart Infection 02, dei Jack Rose: niente da fare, questo è l’esempio palese del tentativo di allacciare il metal, alla musica da discoteca, quella veramente… tamarra. Per non parlare degli Antinomus: Black Metal is Dead sta a significare che evidentemente la musica dance è diventato il loro obiettivo. Quando ho sentito i pezzi mancavano solo le luci psicadeliche con tanto di lucine colorate e il gioco era fatto. Assurdo. Gli svizzeri Atomtrakt, carichi di atmosfere medievali, non realizzano in pieno il concetto industrial, ma decisamente si applicano per il lato ambient e tetro del genere, risultando a lungo andare troppo ripetitivi e privi di stimoli. Così come Infinity degli inglesi Jesu, atmosferico, sognatore e alternato a venature doom sfiziose e ripetitive con una produzione molto interessante. I pareri sono diversi su questa uscita: personalmente nonostante s’intraveda qualche ottimo spunto, nel complesso è poco interessante. Alcuni dettagli industrial anche nell’album dei Draconic, fortemente legati al filone heavy/trash; il risultato è un lavoro scorrevole, piacevole ma scarno d’idee. Si distinguono i Cobis Death, con Slaughter The Corrupt; come il nome stesso del gruppo anticipa, suonano un industrial metal tendenzialmente death, con ottime intuizioni ma troppo confusionarie e una produzione appiattita e di pessimo gusto, che rende il suono un rigoglio caotico di suoni. I Cultes Des Goules, tedeschi e di gran lunga meno famosi dei loro connazionali che la fanno da padrona, propongono un album fin troppo semplice che del metal ne ha solamente il lontano profumo. Poche note, in prevalenza tastiere e basso, spiegate in ripetizioni infinite e niente più. I Demon Project, al di là di una tastiera sopra le righe che enfatizza un alone complesso e imperioso, per il resto regna la banalità in casa. I francesi Interria con Les Corps Impatients, hanno nell’animo un sound riconducibile al metallo industriale vero e proprio: synth che sottolineano in tutto e per tutto l’andamento melodico del pezzo, con veementi distorsioni di chitarra e crash di batteria che riempiono ogni ritornello in maniera petulante, come un assiduo macchinario metallico. Passiamo ora ai Kudai, che pur essendo lineari e puliti nell’esecuzione, hanno la peculiarità di stancare in non meno di un minuto di ascolto di ogni brano. Se non fosse per i ritornelli, più di tre minuti nel nostro lettore, non durerebbe. Altro esempio di tentato connubio, tra musica commerciale e metal, lo danno i Sybreed, lavoro tralasciando qualche brano, se passasse in discoteca insieme a della house non provocherebbe scandalo.
Una nota a parte merita Senmuth: ci sono gruppi che impiegano anni per produrre un solo album. Vorrei sapere che tipo di droghe usano in Russia, dato che solo, riesce a produrre 9 full lenght nel 2009 e vedendo la discografia, questo risulta essere l’anno meno produttivo. Per ovvie ragioni, non sono riuscito ad ascoltare la totalità dei lavori, ma l’impressione avuta in passato la confermo: è un folle, molto probabilmente prima o poi lo ritroveremo in qualche colonna sonora di film, poiché dotato di enorme elasticità compositiva che gli permette di passare da suoni gravi e roboanti a parti di estrema leggerezza e delicatezza, che facilmente riconducono a panorami visivi dei più disparati. Non prettamente industrial metal, ma un geniaccio, questo sì.
Concludo con la convinzione che la scena industrial, nonostante alcuni gruppi abbiano segnato decisamente la via del genere segnando in tal senso il futuro di molti gruppi, prosegue una metamorfosi continua: oltre alle neo band, molte stanno allargando gli orizzonti sperimentando questo approccio industrial, spesso troppo ingiustamente bistrattato, e apportando notevoli sviluppi che potrebbero avere risvolti e novità più che positive. Forse. Perché il tempo come sempre la fa da padrona.
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4
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(DEATH) sopra di tutti gli eccellenti Infernal Poetry. Subito dopo Hypocrisy e Dying Fetus. Allucinanti e allucinati gli Agoraphobic Noisebleed. Mi hanno deluso i Cannibal Corpse: un po' troppo piatti. I Children Of Bodom inizio ad odiarli e invece ho adorato i Ghost Brigade. (PROG) non ho ascoltato molto di questo genere: i Dream Theatre hanno sostanzialmente rotto le palle, gli O.S.I si sono confermati geniali (METALCORE) i migliori in assoluto? i Coverge: fantastici. Al secondo posto i Devildriver e al terzo i pazzi Arsonists Get All The Girls. Delusioni: gli Hatebreed, l'omonimo è solo carino. gli Arkaea non convincono appieno: troppo canonici e grigi. i Caliban sarebbe ora che si impegnassero in qualcos'altro. (FOLK) per il folk dico solo una cosa: a cosa serve il disco degli Eluveitie? non è metal e come folk è abbastanza scontato (INDUSTRIAL) L'ultimo disco dei Rammstein si salva a metà e quello degli Jesu è un po' troppo...noioso. Di nuovo complimenti  |
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3
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Davvero un lavoro infinito! Complimenti! E come è giusto che sia non esente da opinioni contrastanti, per quando mi riguarda (prog) - l'ultimo dei Mars Volta è geniale, si sono reinventati - i Dream Theater invece hanno deluso ritornando alle influenze (pop) che hanno fatto partorire Octavarium; Systematic Chaos era di gran lunga superiore, - gli Astra sono stati nella media, - i Queensryche hanno abbassato di molto il loro standard (indipendentemente dai testi che interessano parzialmente) |
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Very Good! p.s. nella mia sezione c'è stato un errore di copia/incolla, ho segnalato comunque  |
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