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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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AA. VV. - Maciste contro tutti
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19/03/2020
( 1605 letture )
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La magnificenza e lo splendore della Musica, già nostra imprescindibile compagna di viaggio in tempi ordinari e diventata ormai linfa vitale durante questi giorni immutati di reclusione forzata, si esplica attraverso i due canali che ben conosciamo, vale a dire il supporto fisico, registrato e riproducibile e il concerto “live”, solo talvolta anch’esso inciso ed editato in studio. Riguardo quest’ultimo binario, compilarne una classifica qualitativa o per importanza è impresa ancora più ostica di quanto possa esserlo nei riguardi delle uscite “ufficiali”, poiché non esiste documentazione relativa ad ogni concerto mai avvenuto se non quella situata nei ricordi di chi fu presente. Possiamo dunque basarci esclusivamente sugli spettacoli riascoltabili, che comunque sono parecchi anche solo limitandoci allo scenario italiano; in tal proposito ci preme segnalarne uno che ha avuto un’importanza incalcolabile sul fiorire della musica alternativa e pre-indie nostrana, vale a dire quello tenutosi il 18 settembre del 1992 a Prato, nella cornice del Centro per l’arte contemporanea nominato a Luigi Pecci, figlio di un noto industriale fiorentino che ne decise la costruzione. Ebbene, durante questa serata, promossa come “manifesto programmatico” dalla neonata etichetta I Dischi del Mulo di proprietà di Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti, nacquero ufficiosamente i C.S.I., prosecuzione naturale e coerente dal punto di vista dell’assonanza storica dei famosi CCCP – Fedeli alla Linea dello stesso Lindo Ferretti, personaggio che speriamo non abbia bisogno di presentazioni. Si parla di prosecuzione naturale poiché la band in questione fece, riguardo la propria esistenza, lo stesso percorso dell’Unione Sovietica, creatura geopolitica a cui si sentiva legata a doppio filo, tanto da autodefinirsi fautori di un “punk filosovietico”, ovvero attraversare la decadenza generale autoindotta ed eteroindotta a seconda dei casi (politica, di costume, di relazioni esterne da una parte e prettamente artistica dall’altra) e diventare letteralmente qualcos’altro. La Sojuz Sovetskich Socialističeskich Respublik divenne così la Sodružestvo Nezavisimych Gosudarstv, la Comunità degli Stati Indipendenti, mentre il gruppo, che aveva cambiato radicalmente composizione nell’ultimo periodo accogliendo tra le proprie fila anche tre componenti dei Litfiba, divenne noto come Consorzio Suonatori Indipendenti.
Nonostante siano loro gli unici protagonisti della serata qui recensita che ha preso il nome, su disco, di Maciste contro tutti (dal titolo di uno dei più ambiziosi pezzi realizzati dai compianti CCCP, a sua volta preso dall’eroe di numerosi film peplum/sword and sandal degli anni cinquanta), quel 18 settembre si sono esibite altre due band di cui il panorama italico deve andare fiero più che mai, sono gli Üstmamò e i Disciplinatha: i primi nacquero l’anno precedente distinguendo il loro “alt-rock” dalla concorrenza per l’utilizzo frequente del dialetto locale dei propri componenti (Appennino reggiano) inframezzato da altre lingue come inglese, francese e naturalmente italiano, i secondi invece, attivi dalla fine degli anni 80, fautori di un violento “industrial-punk” dalle connotazioni sinistrorse ed un corredo di immagini e costumi intento a ridicolizzare tutto ciò che abbia un minimo a che fare con il periodo fascista. A questi due complessi va una mezz’oretta a testa, come spiegato in apertura dalla laconica voce del Ferretti, in attesa del piatto forte della serata, andando così formare quell’Acida Alleanza tra i tre complessi che sarà cantata dallo stesso frontman emiliano nell’esordio Ko de Mondo. Non faremo un track by track, come dicevamo non si tratta di una serata particolarmente scintillante riguardo il mero lato musicale (diciamo che non si distingue dalle centinaia di altri concerti fatti dagli stessi nomi) ma diventa importante non appena si trasforma in tassello primario della nascita di un gruppo che si rivelerà semplicemente straordinario, al contrario delle aspettative e dei motivi per cui ci si è ritrovati per quest’evento; infatti il motivo primario del concerto, inserito nel Festival delle Colline di quell’anno, era proprio quello di avere una pubblica celebrazione della fine dei CCCP dopo otto anni passati fedelmente aggrappati alla “linea”, anche quando non c’era, una fine già scritta e messa in chiaro dallo storico comunicato stampa che accompagnò l’uscita del disco in cui i Nostri godono il privilegio di scrivere il proprio necrologio, essere presenti al proprio funerale, portare la propria cassa con un ultima colonna sonora, quel mattone lacrimante sangue chiamato Epica Etica Etnica Pathos ancora oggi ricoperto da una coltre di mistero. Insomma, con questo ultimo concerto si dà sostanza alla forma già messa in preventivo da tempo, ma in pochi, anzi nessuno, avrebbero sospettato che contemporaneamente al funerale ci sarebbe stato il battesimo di un’altra storia, forse anche più suggestiva della precedente. Si farà in seguito una tabula rasa (senza elettricità) del passato, ma non ora e non qui.
Non c’è alcuna depressione nell’aria che non sia caspica, l’atmosfera è di festa, a partire dall’attacco dell’opener degli Üstmamò, i quali portano in dote una notevole dose di energia grazie alla squillante voce di Mara Redeghieri ed una sezione ritmica incalzante anzi che no; la cover di Orietta Berti alla fine del loro spazio è ulteriore elemento di follia ed esaltazione ma di fronte all’assalto frontale dei Disciplinatha quello appena sentito pareva il coro parrocchiale. Il combo originario di Bentivoglio non le manda a dire ed esordisce con la voce registrata del Duce che annuncia l’inizio della Guerra d’Etiopia, ed effettivamente la frase in questione Abbiamo pazientato quarant’anni. Ora basta! è anche il nome del loro 45 giri d’esordio: Addis Abeba e Crisi di valori sono due mitragliate che immaginiamo abbiano scatenato un pogo infernale nel pit, già caldo di suo e bramoso di ascoltare i cosiddetti “headliner” della serata (con tutti i virgolettati del caso). Tocca ai C.S.I. ma come avrete capito si suona il repertorio targato CCCP, e si comincia con un classico come Emilia Paranoica, un’ipnosi di gruppo più che una canzone grazie al basso pulsante di Gianni Maroccolo che replica quanto fatto anni addietro in studio dal dimenticato Umberto Negri; si prosegue con brani storici che tessono lodi a personaggi dall’aura mistica come Yukio Mishima e Vladimir Majakovskij, chiunque essi siano, così lontani dai conosciuti modelli culturali occidentali, oppure che decantano gli effetti violenti di alcuni farmaci particolari. Il climax è però raggiunto in occasione della già citata title track unita ad Aghia Sophia per un totale di 18 minuti e rotti in cui abbiamo di tutto, dall’incedere ritmato iniziale e centrale sul quale il pacato frontman inizia a salmodiare, uno sfondo strumentale al limite del surreale e del “cinematografico”, aggettivo quest’ultimo che calza a pennello per descrivere il cambio di rotta in pompa magna a metà brano che ci porta idealmente sul set di un qualsiasi film di genere degli anni sessanta; il tutto si ricompone e confluisce in seguito in una specie di litania-mantra che non può lasciare indifferenti, esattamente come il riff di Punk Islam abbozzato in chiusura delle danze. Danze celebrate “in via del tutto eccezionale” ma già con l’idea in testa di dare vita ad un nuovo percorso che nel giro di tre anni porterà alla luce tre capolavori. L’unica pecca, o mancanza, riscontrabile nella loro performance è l’assenza di due personaggi molto importanti come Annarella Giudici e Danilo Fatur, ormai definitivamente distanti anche per divergenze personali ma anch’essi elementi incastonati nella memoria collettiva che ruota attorno alla band che fu.
Per tirare le fila del discorso li citiamo nuovamente, non c’è stata alcuna irata sensazione di peggioramento nella transizione da CCCP a C.S.I., soltanto un cambiamento ragionato, probabilmente non voluto a tutti i costi ma impostosi da solo progressivamente sin dall’uscita di Canzoni, Preghiere, Danze del II Millennio – Sezione Europa, lavoro differente dalla solita proposta post punk del gruppo che conteneva già i prodromi della futura mutazione. Maciste contro tutti rimane un imprescindibile documento storico per tutti coloro che, non arriviamo a dire filologicamente ma almeno più approfonditamente rispetto alla media, desiderino ricostruire gli avvenimenti di uno degli universi più appaganti e interessanti che l’Italia musicale ci abbia mai consegnato.
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@Nòesis, no ma figurati ho voluto precisare anche perché i "secondi" Disciplinatha che suonano al primo maggio e fanno i cori con le mondine possono essere scambiati facilmente in quel senso. Quello che a loro interessava criticare (tramite le canzoni e i loro show) era la società in cui vivevano e all'inizio lo fecero dandosi una immagine fascista, alcuni di loro dissero effettivamente di andare in pellegrinaggio a Predappio, ma il motivo della scelta era estetico e ironico, come la fascinazione che Ferretti aveva per l'Urss. Poi cambiarono approccio estetico ma lo scopo era lo stesso. Una specie di hardcore elettronico neofolk, un incrocio tra i CCCP, i Death in June (fascismo, alpini, guerra, canti popolari) che piacciono a Parisini e un gruppo hardcore (Maiani ha suonato nel gruppo Oi! Dioxina). Giustamente non ti sei soffermato su di loro perché il disco è importante per i CSI, però a me piacevano, soprattutto la bassista Roberta Vicinelli e il chitarrista Parisini e allora ne approfitto per rompere i maroni  |
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I Dish hanno sempre giocato con l'ambiguità in tal senso, fino anche a ora. "Non siamo di destra, anzi siamo buoni", o qualcosa di simile, scrissero sul retro di un EP (forse Nazioni??) , dopo esser stati accusati di essere di "destra". Grande, grande band!! |
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Ciao No Fun
My fault, ho liquidato in fretta e furia un discorso che andava espresso meglio, e banalmente ho seguito i miei ricordi sfuocati invece che documentarmi in tal senso. Possiamo dire dunque che i Disciplinatha non erano fascisti bensì apolitici e critici di entrambi gli schieramenti, da un certo punto di vista similari proprio ai CCCP, gruppo comunista solo all'apparenza |
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Ciao, volevo precisare meglio quello che è scritto sui Disciplinatha. Erano tutt'altro che sinistrorsi, nel documentario "questa non è una esercitazione" lo spiegano bene. Ma in pieno stile punk usavano quell'immagine non tanto per provocare che non vuol dire niente ma per criticare e far pensare oltre che e soprattutto per rompere i timpani e far pogare, come i CCCP per l'appunto o i giapponesi The Stalin. Mentre questi usavano l'immaginario socialista reale per mostrarne il lato decadente e punk i Disciplinatha dicevano "ok siamo la fogna, siamo la merda fascista, e proprio scegliendo di essere merda vi giudichiamo". Anche la Attack Punk record che pubblicò i primi ep a sentire Jumpy Velena pensò che quel punk "fascista" era eccezionale. Si tratta di USARE il fascismo o il comunismo per fare punk, come fanno anche gli Antiseen con l'immaginario redneck (tra l'altro sia i Disciplinatha che gli Antiseen erano apprezzati dal buon Jello Biafra). Mentre con gruppi realmente politicamente impegnati avviene il contrario, usano il punk per fare propaganda. Poi cambiarono e fecero anche loro (ottimi) dischi "alternativi" perché questo tipo di proposta a sentire loro non era capita (e prendevano sberle da entrambi gli schieramenti). A questo punto, dai ancora uno sforzo, aspetto la rece di "Abbiamo pazientato 40 anni" e di "Un mondo nuovo". |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Üstmamò – Üstmamò 2. Üstmamò – Amminramp 3. Üstmamò – Vietato vietato 4. Üstmamò – Finkela barkava 5. Disciplinatha – I Love You 6. Disciplinatha – Addis Abeba 7. Disciplinatha – Crisi di valori 8. C.S.I. – Emilia paranoica 9. C.S.I. – Spara Jurij 10. C.S.I. – Mozzill'o re 11. C.S.I. – Valium Tavor Serenase 12. C.S.I. – Morire 13. C.S.I. – Madre 14. C.S.I. – Depressione caspica 15. C.S.I. – Maciste contro tutti 16. C.S.I. – Aghia Sophia 17. C.S.I. – Punk Islam
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RECENSIONI |
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