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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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CRYPTIC WRITINGS - # 71 - Guyana (Cult of the Damned) - Manowar
17/08/2018 (2504 letture)
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I Manowar non sono certo conosciuti per la varietà – ed i più maligni diranno qualità – dei loro testi. Tra infinite e ridondanti odi al metallo, alla vita da biker, a battaglie e varie divinità nordiche, gli argomenti si esauriscono presto. Eppure, anche i nostri nerboruti eroi hanno scritto liriche il cui interesse supera la mera autocelebrazione, e che ci permettono pure di imparare qualcosa. È il caso di Guyana (Cult of the Damned), che dalle epiche battaglie alle porte del Valhalla ci riporta nella drammatica, cruda realtà. Come sempre più terrificante della fiction più sanguinolenta..
IL PIÙ GRANDE SUICIDIO DI MASSA DELLA STORIA MODERNA Il brano, contenuto in Sign of the Hammer, narra la vicenda del massacro di Jonestown. Il 18 novembre 1978, 913 membri della setta Peoples Temple of the Disciples of Christ, stabilitasi in una comune agricola nella Guyana nordoccidentale, morirono in quello che è considerato come il più grosso suicidio di massa della storia moderna, secondo solo all’11 settembre per numero di civili statunitensi morti. All’origine di tutto ciò, la sulfurea figura del reverendo Jim Jones, leader del Peoples Temple. Pastore metodista, James Warren Jones fonda la propria chiesa negli anni ’50 a Indianapolis, come permesso dalla dottrina protestante. Al centro della sua predicazione, l’uguaglianza razziale – ricordiamo che all’epoca, negli Stati Uniti vigeva una severissima discriminazione – e l’integrazione di elementi socialisti. Jones sposta il culto in California e, mentre i suoi sermoni si fanno sempre più cupi e catastrofisti, il Peoples Temple si espande fino a raggiungere qualche migliaio di aderenti, che vivono in appartamenti comuni. Il pastore si attribuisce anche capacità taumaturgiche, che dimostra con trucchi e elaborate messe in scena. Nel ’74, Jones decide di spostare il movimento nella giungla della Guyana, in Sud America: là fonda la comune agricola nota come Jonestown. Negli Stati Uniti, intanto, il clima si fa difficile per il Peoples Temple. Iniziano infatti a circolare le prime testimonianze di ex-membri del culto, che parlano di un reverendo autoritario e paranoico. Chi mette in discussione i suoi miracoli è punito. A Jonestown, i residenti – circa un migliaio – sono sempre più isolati dal mondo esterno, le sole informazioni che arrivano sono deformate, fabbricate ad arte da Jones. Chi manifesta il desiderio di andarsene, è assegnato a squadre di rieducazione. Le denunce non tardano ad arrivare, e l’omicidio del deputato Leo Ryan da parte di alcuni membri del culto, arrivato in Guyana per indagare, fa precipitare definitivamente le cose…
GUYANA La canzone parte con un possente riff di basso, che ci ricorda quanto Joey DeMaio fosse effettivamente un gran bassista. Dopo un virtuoso intermezzo, inizia un sognante arpeggio che presto si tramuta in un intenso terzinato, sul quale si aggiunge il granitico drumming di Scott Columbus. Ed ecco Eric Adams con la prima strofa.
Thank you for the Kool-Aid, reverend Jim We’re glad to leave behind their world of sin Our lifeless bodies fall on holy ground Rotting flesh, a sacrificial mound.
Grazie per il Kool-Aid, reverendo Jim Siamo lieti di lasciarci alle spalle il loro mondo peccaminoso I nostri corpi senza vita cadono su di un terreno sacro Carne putrefatta, un tumulo sacrificale.
Subito si capisce che il testo, scritto da DeMaio, non segue una narrazione cronologica, ma inizia anzi dalla fine o, per meglio dire, dall’attimo prima della fine. Adams, nei panni degli abitanti di Jonestown, esordisce ringraziando Jim Jones per il Kool-Aid, la famigerata bevanda alla frutta dove fu sciolto il cianuro. Quando Jones annunciò il suicidio di massa, raccontano i pochi superstiti, venne allestito un bidone con il letale preparato, dietro il quale si formarono lunghe file di abitanti della comune che ne bevvero da bicchieri di plastica, per poi stendersi a morire nel cortile. Chi non voleva o non era in grado di farlo, venne aiutato con delle siringhe. A mano a mano che la gente moriva, altri membri della comunità allineavano i cadaveri in file ordinate, fino a formare un gigantesco tumulo. La seconda frase della strofa rivela il carattere volontario del massacro: quasi tutti gli abitanti di Jonestown accettarono commossi il destino che Jones scelse per loro, anche convinti di lasciarsi alle spalle un mondo corrotto e peccaminoso, caratteristica comune di molti nuovi movimenti religiosi.
Were you our God or a man in a play Who took our applause and forced us to stay? Now all together, we lived as we died On your command, by your side Die by your side.
Tu eri il nostro Dio, o un uomo in una messa in scena, Che ricevette i nostri applausi e ci obbligò a restare? Ora tutti insieme, abbiamo vissuto come siamo morti Al tuo comando, al tuo fianco Morire al tuo fianco.
La canzone prosegue interrogandosi sul ruolo di Jim Jones, artefice e responsabile del massacro. Adams si chiede come il reverendo sia riuscito a convincere quasi mille cittadini americani a seguirlo nella giungla della Guyana e, soprattutto, ad accettare un così estremo destino. L’innegabile carisma di Jones ha sicuramente giocato un ruolo importante, anche alla luce della bontà della sua proposta iniziale. Una larga parte dei membri della setta erano infatti afroamericani. Ben presto però, la predicazione centrata sull’integrazione diventò un puro culto della persona. Jones arrivò a proclamarsi la reincarnazione di Gesù Cristo, prendendone progressivamente il ruolo durante i sermoni. I suoi finti miracoli e guarigioni illustrano bene la sottile linea tra la presunta divinità e il reale imbroglione. Poi subentrò la repressione dei “dissidenti”, ovvero coloro che mettevano in discussione l’autorità del reverendo. Un’ubbidienza, nutrita dalla disinformazione e dalla violenza simbolica esercitata da Jones, che spinse i membri della comune ad accettare la morte che fu loro imposta. E intanto l’atmosfera cambia, si ritorna al sognante arpeggio, dove il basso e la voce conducono il brano in un crescendo da brividi, sospeso. La possente voce di Eric Adams squarcia il silenzio, primo climax di questa canzone. Pura magia.
Guyana, in the cult of the damned Give us your word for the grand final stand Guyana, in the cult of the damned Give us your word for the grand final stand.
Guyana, nel culto dei dannati Dacci la tua parola per la grande resistenza finale Guyana, nel culto dei dannati Dacci la tua parola per la grande resistenza finale.
Tutta la coralità e possanza dei Manowar esplodono in questo primo ritornello. Ultima ubbidienza al reverendo, l’ultimo atto di resistenza finale di una comunità traviata dall’inganno e dalla violenza. Stiamo parlando del “suicidio rivoluzionario”, come definito dallo stesso Jones. L’emozione di questo refrain ci fa anche chiudere un occhio su quel “culto dei dannati” che non centra nulla con la dottrina del Peoples Temple, presente per pura – e sacrosanta – esigenza drammaturgica. Poi, a più di tre minuti dall’inizio del brano, esplode il primo vero riff di chitarra che, aumentando il ritmo della canzone, apre la seconda strofa.
In the cult of the damned, we all worked the land Too afraid to look up, we all feared his hand Hurry my children, there isn’t much time But we’ll meet again on the other side Be good to the children and old people First hand them a drink, they’re dying of thirst.
Nel culto dei dannati, noi tutti lavorammo la terra Troppo spaventati per alzare la testa, noi tutti temevamo la sua mano Sbrigatevi miei bambini, non c’è molto tempo Ma ci rincontreremo dall’altra parte Siate buoni con i bambini e gli anziani Dategli da bere, stanno morendo di sete.
Con la prima quartina, il testo ci fornisce qualche elemento in più sulla vita a Jonestown, comune agricola dove i membri del culto lavoravano la terra, un lavoro tra l’altro durissimo perché nel cuore della giungla. Nella comune regnava un clima di repressione: nessuno poteva lasciare la colonia, degli altoparlanti diffondevano fino a notte fonda i sermoni di Jones, sempre più catastrofici e incoerenti. Lo stesso reverendo era spesso distrutto dall’alcol e dalle droghe. Con l’ultima frase, il testo diventa ferocemente ironico: durante l’avvelenamento, i primi ad assumere il Kool-Aid furono proprio i vecchi e i bambini, su indicazione di Jones. Ecco spiegato perché questi starebbero “morendo di sete”…
Ed ecco ancora il fantastico refrain, che rende giustizia alle straordinarie doti di Adams, il quale si permette anche di modulare al secondo giro. Segue l’inevitabile guitar solo di Ross the Boss, invero alquanto gradevole. Un’altra doppietta di ritornelli ci porta sull’ultimo spezzone di testo, con un crescendo condito da spettrali cori in secondo piano.
Bigfoot, bigfoot, thrown in a well Pulled under water, screaming like hell He told us life was just a hotel Time to check out when he rang the bell.
Bigfoot, bigfoot, gettato in una cisterna Trascinato sott’acqua, urlando da morire Ci disse che la vita è solo un hotel Tempo di fare le valigie quando diede il segnale.
Quest’ultimo intervento rivela la shoccante testimonianza di una ex-seguace del culto. La donna racconta di una vera e propria tortura chiamata Bigfoot, inflitta ai bambini della comune accusati di aver fatto qualcosa di sbagliato agli occhi di Jones. Il piccolo colpevole veniva gettato in una cisterna buia dove due persone, che vi entravano prima per l’occasione, lo trascinavano sott’acqua. Il bambino doveva gridare il suo pentimento, e le sue grida riecheggiavano per tutta Jonestown. La violenza di questa pratica è amplificata dai potenti acuti di Adams. Con una referenza alle bugie del reverendo, la band infila gli ultimi due ritornelli e chiude nel miglior modo possibile i sette, sontuosi minuti di Guyana.
A conti fatti, una canzone che si apprezza di primo acchito per la notevole composizione rivela un contenuto tutto da scoprire che, come si diceva all’inizio, ci permette anche di imparare qualcosa. Questo grazie ai molti dettagli e aneddoti svelati dal testo – tra l’altro globalmente accurato – che sceglie sapientemente di adottare un punto di vista interno, concentrandosi sull’esperienza delle vittime e tralasciando il lato puramente fattuale. Non saranno forse i Manowar più iconici, ma sono sicuramente molto interessanti.
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Complimenti per l'articolo! La canzone è enorme, una delle migliori in assoluto dei Manowar, e lo è dai primi giri di basso fino alle grida strazianti di Eric nel finale, dove sembra chiamare l'aiuto della mamma. Devo ammettere che però non avevo mai analizzato a fondo il testo, quindi grazie per l'occasione |
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questo è il caso in cui uno non ha mai ascoltato i manowar però leggendo un articolo interessante viene invogliato all'ascolto....quello ovviamente sono io,non mi hanno mai attirato i manowar,sarà che non mi piacciono le cose "in costume" (si si lo so..che ci volete fare)...però ho ascoltato questo brano,senza lasciarmi influenzare,ed è veramente un grandissimo brano,c'è poco da dire,dall'inizio e nel suo evolversi fino alla sua fine.....è perfetto.Dovrei ricredermi sui manowar,ovviamente non lo farò,ma racconterò che hanno scritto un grande brano. |
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Ottimo articolo! Vedere le foto di quel massacro è impressionante, ma del resto questo la dice lunga su quanto sia facile controllare il prossimo...il pezzo dei Manowar poi è un capolavoro totale! Cmq anche il caso della setta Heaven's gate fu inquietante, 39 fuori di testa si suicidarano in massa convinti che sarebbero stati prelavti dagli alieni durante il transito della cometa Hale-Boop... |
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@Griso, ti rinnovo i complimenti. La frase, effettivamente, è ironica, e in italiano, come suggerito da "HeroofSand_14, sarebbe "Ci ha detto che la vita era un albergo, tempo di "fare le valigie" (o andarsene, lasciare la stanza", quando avrebbe dato il segnale. |
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Grazie a tutti per i complimenti, mi fa piacere che abbiate apprezzato l'articolo. @HeroOfSand_14, in effetti la tua traduzione di "check out" è più corretta, correggerò l'articolo, grazie per la segnalazione. |
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Ero ancora un ragazzo quando accadde il tremendo fatto del suicidio collettivo degli adepti alla setta del reverendo Jones, all' epoca le notizie arrivavano dai TG in bianco e nero, ma ne fummo tutti molto impressionati; una follia del genere, anche se lontana, non poteva lasciare indifferenti. Detto questo, stiamo parlando di una delle mie canzoni preferite dei Manowar, se non la preferita in assoluto; musicalmente dentro c'è di tutto, potenza, epicità, phatos, melodia, cambi di tempo, degna conclusione di quello che probabilmente è il loro miglior album. Musicalmente tempi magnifici che mai più torneranno.
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Ottimo articolo Alberto, hai trattato un accadimento forse poco noto ma probabilmente uno dei più particolari e scioccanti casi di plagio mentale. La canzone rimane intoccabile, probabilmente è quella che preferisco di più della band di De Maio ed il motivo risiede anche nello splendido testo, perdipiù reale a differenza di altri di (molti) altri loro brani. Il crescendo finale con Adams che sembra urlare di dolore fino all'invocazione di "Mama" è da brividi, e le due frasi finali "He told us life was just a hotel
Time to check out when he rang the bell." sono tra le mie preferite in assoluto, anche se interpreto "to check out" non come "controllare" ma come "lasciare" nel senso di morire. Che pezzo, che band, che intro pazzesca con il battito di mani. Meraviglia |
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Al di là dell'album e della canzone è proprio la storia da cui è tratta che fu assurda e raccapricciante. Ricordo che anni e anni fa Minoli ne trasmise uno speciale su Rai3 |
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Finalmente posso leggere un articolo per me molto interessante essendo un metallaro medio o meglio “ignorante” “gran pregio secondo me” e si quegli anni li ho vissuti pure io mi piaceva il metallo i riff e tutto il resto ma di quello che cantavano capivo poco niente , mi ricordo ancora quando mi passarono questo album , non so quante volte l’ho sentito bello da morire hail Manowar , in quel periodo uscirono anche album del calibro di Last Commad degli Wasp ,Hell Awaits degli Slayer ,To Mega Therion dei mitici Celtic Frost ,Open the gates dei Manilla Road e il primo disco dei Metal Church se non ricordo male ,tanto per citarne altri. |
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Forse il miglior pezzo mai scritto dai Manowar, e un album fenomenale. Non capisco perché abbiano scelto la via della tamarraggine con testi da terza elementare al posto di osare un po'di più. Comunqur band che ho sempre amato, tra i miei miti. |
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Disco epocale, annata devastante, ogni mese un capolavoro, da Powerslave a Last in line, passando per Defenders of the faith. Ho avuto la fortuna di vivere l'Epoca d'oro del Metal, complimenti al recensore. |
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Uno dei pezzi che li rappresenta meglio imho. Un Adams devastante. Bell'articolo, bravi. Se uno mi chiedesse di ascoltare qualcosa dei Manowar, questo sarebbe uno dei primi pezzi. |
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