Non sono molti i casi nei quali si possa dire che genio e gene si sovrappongono e diventano sinonimi. Uno di questi casi è quello di Ihsahn, artista la cui esistenza è scritta nel materiale genetico, che è anche materiale geniale. Al secolo Vegard Sverre Tveitan, il Nostro non necessita certo di presentazioni. Tra le figure di maggior rilievo ed importanza per la storia del black metal, fondatore dei fondamentali Emperor, a partire da The Adversary, album pubblicato dal suo progetto solista nel 2006, ha cominciato una approfondita esplorazione delle possibilità espressive del progressive metal declinato attraverso stilemi ereditati dal suo passato estremo (da non dimenticare il suo altro progetto importante, i Peccatum). Con il passare degli anni e dei dischi, il suo extreme progressive metal si è via via sempre più raffinato e liberato da qualsiasi tipo di vincolo stilistico: come dimenticare, ad esempio, il sublime sax presente in After? Oggi, ad ogni modo, ci concentreremo sul suo penultimo lp pubblicato sinora, Arktis. e, nello specifico, su uno dei pezzi migliori del lotto: Celestial Violence.
PARTE 1. L’INARRESTABILE BATTITO INTERIORE
Non certo nuovo a collaborazioni illustri, specialmente per quanto riguarda l’aspetto canoro (si pensi alla partecipazione di Mikael Åkerfeldt degli Opeth nella canzone Unhealer), anche in Celestial Violence troviamo una guest star a prestare la propria voce: si tratta di Einar Solberg, cognato del Nostro e cantante dei Leprous. La delicata potenza della sua voce, tinta di sfumature fredde e fortemente emotive, si presta molto bene al brano, il cui testo si caratterizza per la presenza di immagini poetiche e struggenti. L’intro è affidata a dei delicati accordi di pianoforte, note gelide che contestualizzano il mood generale del pezzo. Su questi si insinua la stupenda voce di Solberg:
Sing And I will turn these unforgiving words into a star Stay This scenery would change if we could watch it from afar
Canta E trasformerò queste parole spietate in una stella Resta Questo panorama cambierebbe se potessimo guardarlo da lontano
Che la musica di Ihsahn sia figlia di Friedrich Nietzsche non è certo una novità: si pensi all’album Eremita, sulla cui copertina troneggia il celebre primo piano di un Nietzsche ormai sul finire dei suoi giorni, ed alla canzone in esso contenuta The Eagle and the Snake, che riprende immagini provenienti da Così Parlò Zarathustra. Questa influenza si rinnova anche in Celestial Violence, il cui testo è aperto da espressioni astratte che sembrano ereditare il linguaggio aforismatico del filosofo tedesco. C’è uno stimolo alla metamorfosi, il bisogno di trasformazione ed elevazione ad uno stato superiore, potremmo dire “oltreomistico” (da oltreomismo). A questo punto subentra la chitarra, che punteggia il tessuto melodico con nuovi accordi più serrati, che sembrano rispondere a quelli del pianoforte.
Pain Like icons of our suffering, distilled, the works of art Pain A sting of life to bind us to these heavens torn apart
Dolore Come icone della nostra sofferenza, purificate, opere d’arte Dolore Una fitta di vita per legarci a questi cieli sventrati
Prosegue il linguaggio poetico fatto di immagini astratte: è il dolore che dà forma all’arte; ed è sempre il dolore, d’altra parte, a tenerci aggrappati all’idea di Paradiso. Fortunatamente, però, esso è ormai ridotto a brandelli, superato da quell’impeto nichilista dell’uomo che ha saputo superare Dio. Il brano si fa improvvisamente più pesante: le chitarre si distorcono, irrompe la batteria. E lo scream acido e graffiante di Ihsahn:
Celestial violence Eternal wars unfold across the sky Celestial violence Feel the unrelenting pulse inside
Violenza divina Guerre eterne si svolgono nel cielo Violenza divina Senti l’inarrestabile battito interiore
Sembra quasi di poter vederla, la battaglia celeste. Un’insurrezione senza fine di chi vorrebbe superare la morale giudaico-cristiana, un clima bellicoso rievocato dal terremoto sonoro della band, che con pochi tocchi di chitarra e basso ed un fill di batteria tanto lineare quanto efficace, riesce a scatenare tutta la rabbia dei rivoltosi, una pulsione viscerale.
PARTE 2. UN ACCORDO DISSONANTE
Il primo ritornello ci conduce alla seconda parte del brano, che lascia trasparire tutto il talento poetico e compositivo del Nostro.
Sing And celebrate the chaos of this canvas that is night Sing But strike a chord of dissonance when harmony betrays to lure you blind into the light
Canta E celebra il caos di questa tela che è la notte Canta Ma suona un accordo dissonante quanto l’armonia tradisce per attrarti ciecamente nella luce
La musica ricopre un ruolo fondamentale nella filosofia di Nietzsche, essendo l’arte dello spirito dionisiaco, lo spirito dell’ebbrezza. E così la ribellione di Ihsahn avviene attraverso di essa. Troviamo dunque l’arma utilizzata nella battaglia contro i dettami della morale tradizionale. La dissonanza, vicinanza di suoni tra loro estranei e distanti, diviene metafora nichilista. Mentre l’armonia -l’apollineo nietzscheano- attrae verso la luce, il Paradiso, promessa di una vita ultraterrena, è la dissonanza che ci riconduce nell’Al Di Qua, nell’immanenza della vita terrena.
An emptiness so deep Even time will disappear Hand in hand with all the whispers of the intermission The still anticipation of a scream
Un vuoto così profondo Che persino il tempo sparirà Mano nella mano con tutti i sussurri della pausa L’immobile attesa di un grido
Il lirismo di Ihsahn raggiunge ora il suo culmine. Il suo linguaggio figurato si sublima in nuove immagini che traducono il senso di abbandono che caratterizza l’esistenza. Una voragine che inghiotte il tempo, lasciandoci in uno stato di sospensione, come in quell’infinito nulla nel quale viaggia l’uomo folle di Nietzsche. La penna dell’artista norvegese ora, come in un’estasi dionisiaca, si prodiga nel trasformare la musica stessa: word-painting è quella sorta di figura retorica o tecnica compositiva attraverso la quale gli strumenti imitano il testo. L’attesa (una traduzione più letterale sarebbe “anticipazione”) del grido si riflette in un brevissimo istante in cui la canzone sembra sospendersi, prima di esplodere nuovamente nel fragoroso ritornello, con lo scream mai troppo elogiato di Vegard Sverre Tveitan. Al termine del ritornello, i due cantanti cominciano a sovrapporsi: le urla di Ihsahn e la struggente dolcezza di Solberg si inseguono, l’una gridando a pieni polmoni le due parole che danno titolo al brano, l’altra ripetendo versi precedenti. È il termine della battaglia, un terremoto.
E poi, il silenzio.
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