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CRYPTIC WRITINGS - #87 - God Protocol Axiom - Dødheimsgard
05/03/2021 (1078 letture)
PARTE 0. IL PROTOCOLLO DI DIO.

Dopo otto anni di silenzio, nel 2015 i folli norvegesi noti come Dødheimsgard tornarono a far parlare di sé con A Umbra Omega, l’ultimo lavoro della band capitanata da Vicotnik, che sancì anche il ritorno dietro all’asta del microfono di Aldrahn. Dopo il fondamentale 666 International, uno dei dischi che, sul finire degli anni ’90, contribuirono a modificare geneticamente il black metal, è proprio l’album del 2015 ad occupare, almeno per chi sta scrivendo, il secondo gradino di un ipotetico podio che ordinasse le uscite discografiche della band. Come quello che sancì la svolta verso sonorità industrial ed elettroniche, infatti, A Umbra Omega è lo spazio sonoro nel quale i Dødheimsgard hanno provato ad erigere nuove architetture oscure, templi alla follia, teatri della più irrefrenabile (ed “irrefrenata”) pulsione dionisiaca, quello spirito d’ebbrezza descritto da Nietzsche ne La Nascita della Tragedia -forse tra i testi più importanti per chiunque abbia intenzione di studiare ed analizzare la musica estrema e sperimentale. La doppia recensione del disco che potete trovare sulle nostre pagine si concluse con un’azzeccatissima citazione di Carmelo Bene, che racchiude perfettamente l’essenza della musica qui contenuta:

Applaudite l’ovvio ma ne avete fatto una minchia, di quest’ovvio […]. Ma io non vi sfido, non vi vedo!

Nulla di ovvio macchia l’incedere ubriaco e surreale di A Umbra Omega. Il fondersi di black metal, jazz, industrial, ambient e chi più ne ha ne metta trasforma la materia musicale, una materia di per sé astratta poiché impalpabile ma concreta in quanto ben descritta entro precisi canoni estetici, in qualcosa di fumoso e sfuggente, inconsistente e perpetuamente cangiante. Tra le migliori tracce -ammesso che ve ne siano, di migliori, data la qualità sopraffina dei sei pezzi, una breve intro strumentale seguita da cinque brani dalla durata sempre superiore ai dieci minuti- rientra sicuramente God Protocol Axiom, che oggi prenderemo in esame e sviscereremo col fine di individuarne le tematiche liriche, le quali attraversano come un fil rouge gli oltre sessanta minuti di follia sonora che compongono A Umbra Omega.

PARTE 1. CENERE COSMICA.

God Protocol Axiom si apre con una scheggia impazzita composta di tremolo picking e blast beat furibondi. Il primo riff riconoscibile, seppur sghembo, si accompagna anche alle prime parole pronunciate dalla voce sgraziata di Aldrahn:

The Devil hides in fractal patterns
Beyond the singularity
Where everything you lost is waiting
Archaeologic burden of excrements


Il Diavolo si cela in schemi frattali,
Al di là della singolarità
Dove tutto ciò che hai perso attende
Fardello archeologico di escrementi


È possibile individuare una dicotomia subliminale e nascosta all’interno di questi primi versi e, a dire il vero, già anche nel titolo. Il linguaggio matematico-scientifico (assioma, frattale, singolarità) si accompagna alla sfera semantica metafisico-teologica (Dio, Diavolo). Sin dall’inizio troviamo dunque una duplice tensione, come uno scontro newtoniano di forze uguali e contrarie. Tale tensione è onnipervasiva, non si limita al solo elemento lirico ma è ciò che fonda anche la musica del disco. Non di rado, infatti, si trovano sfuriate black metal accostate a momenti prog/jazz-oriented: due animi, l’uno ferino e l’altro iper-razionale, che convivono e contrastano. Questi primi quattro versi possono essere suddivisi in due coppie: la prima è quella dominata dal contrasto Logico/Teologico appena descritto; la seconda è quella che gioca sul passato e sulla trasformazione (le cose perdute che attendono, elementi di un presente oramai divenuto passato, e la loro trasformazione in tracce scatologiche di un tempo che fu, remoto).

The fluent fluctuation
Of feverish mental rash
Behind you, stretching wide
The scent of rememberance
While another you,
Waiting in the cosmic ash


La fluida fluttuazione
Della febbrile irritazione mentale
Alle tue spalle, si sta espandendo
Il profumo del ricordo
Mentre un altro te
Sta aspettando nella cenere cosmica


Cambia la musica, rallenta, si fa più bizzarra. E così le parole si metamorfosano in una creatura surreale, senza capo né coda: suggestioni quasi impressioniste; chiazze di colori smorti, pallidi, decadenti. Prosegue il percorso tra dicotomie e contrasti: il “mental rash”, ad esempio, nel quale l’elemento psicologico si unisce per differenza allo sfogo cutaneo (rash); la materialità dell’espansione (stretching wide) e la nebulosità gassosa del profumo -reso ancor più nebuloso dalla sua stessa natura di “scent of rememberance”.

Chaos fathers a moment’s structure
Below the aching archs of all heavens
And in the midst of it all, a single mind
That dreamt the truth but woke up lying
For his own salvation, his own escape


Il Caos procrea la struttura di un momento
Sotto gli archi sofferenti di tutto il Paradiso
E nel mezzo di tutto ciò, una singola mente
Che sognò la verità ma si svegliò mentendo
Per la propria salvezza, la propria fuga


Torna il tema teologico. La nascita di Dio -da intendere, con ogni probabilità, in senso metonimico di religione, di pensiero religioso, di fede in un’entità superiore ed onnipotente- viene qui rappresentata in senso negativo. Abbiamo un ribaltamento nel processo della creazione: come già accennato in Aphelion Void, che precede nella tracklist God Protocol Axiom, il creatore ed il creato scambiano i rispettivi ruoli. Il Paradiso, menzionato dai Dødheimsgard al plurale, “heavens”, forse riecheggiando la struttura a nove Cieli dell’Empireo dantesco, soffre sotto l’azione del Caos, termine che potrebbe fungere da collante tra i nuclei semantici del Logico e del Teologico, essendo esso sia presente in alcune teorie scientifiche, come la cosiddetta teoria del Caos, che in alcune mitologie politeiste, come quella greca o quella egizia, risiede all’origine del Cosmo e della Terra. E mentre esso genera il tempo (“a moment’s structure”), l’uomo è alla ricerca di una spiegazione del mondo e dei suoi fenomeni. Ma, incapace di fornire risposte a tutte le sue domande, alla ricerca di una serenità intellettuale (“for his own salvation, his own escape” dall’ignoranza), genera la sovrastruttura teologica della divinità (“woke up lying”). Nella narrazione religiosa, poi, avviene quanto cantato nella menzionata Aphelion Void: “[…] the created that became the creator”.

The function withers
But the form remains
Forever altered by past deeds
Unable to wash the sordid stains
Unable to proceed


La funzione avvizzisce
Ma la forma rimane
Contaminata per sempre da azioni passate
Incapace di lavare le oscene macchine
Incapace di procedere


La menzogna che l’uomo racconta a sé stesso, quella di Dio e di una vita nell’Aldilà, di una spiegazione consolatoria all’angoscia che accompagna il bisogno di conoscenza, è un’onta. Se vogliamo, un peccato mortale. La carne dell’essere umano resta invariata dopo questo parto tragico ma il suo spirito -la sua razionalità- ne resta vittima: ancora oggi ne portiamo i segni, ancora oggi paghiamo il prezzo di Dio, un prezzo che si esprime nella valuta della morale, della (mis)conoscenza, della società paolotta.

PARTE 2. L’IMPIETOSO FUOCO.

Wherever I tread
No road ahead
Time without limit
Eternity in a minute


Ovunque io cammini
Non c’è strada davanti a me
Tempo senza limite
L’eternità in un minuto


Siamo perduti. Nati macchiati della colpa degli antenati, contaminati da Dio, viviamo spaesati. Tempo e spazio perdono il proprio senso. In fondo, se esistono un Aldilà ed una vita dopo la morte, hanno ancora senso un Al di qua e una vita prima della morte? Siamo senza coordinate. Il tempo prosegue dopo il tempo, il sentiero che percorriamo e che dal nostro primo battito del cuore conduce all’ultimo respiro svanisce. Non c’è una strada davanti all’uomo.

Taught to nurture
But if you care you break
Indulge the hollow turture
Reach heaven through heartache


(Ti è stato) insegnato ad accudire
Ma se ti prendi cura ti rompi
Concediti alla vuota tortura
Raggiungi il paradiso attraverso l’infarto


Cresciuti dall’amore, istruiti all’amore; cresciuti alla debolezza, istruiti alla debolezza; cresciuti alla fragilità, istruiti alla fragilità. Dio ha reso l’uomo caritatevole facendogli dimenticare di sé stesso, con la promessa di un paradiso post-mortem. Un paradiso che richiede l’abbandono della vita -l’infarto- per potervi accedere. Più passano i minuti, più Aldrahn decanta il proprio disprezzo antireligioso (non necessariamente limitato all’avversione alla religione cristiana), più è possibile leggere il pensiero di Nietzsche tra le righe.

Wherever I tread
No road ahead
Time without limit
Eternity in a minute
Disclosed to the vermin’s appetite
Like cannibals we devour
Our humanity


Ovunque io cammini
Non c’è strada davanti a me
Tempo senza limite
L’eternità in un minuto
Disvelati all’appetito dei parassiti
Come cannibali divoriamo
La nostra umanità


Stupisce la ripetizione di una strofa, primo elemento che potrebbe ricondurre la musica dei Dødheimsgard alla tradizionale forma-canzone, violentata e demolita nel corso di A Umbra Omega, ma non ci si illuda: subito torna il disagio dell’ignoto, del bizzarro. Tramite il linguaggio musicale astruso che caratterizza il sound dei Nostri, un linguaggio che fluisce tanto con disarmante naturalezza quanto con inquietante artificio dalle sfuriate black metal a dissonanze a suon di ottoni dalle atmosfere oniriche, l’irrazionalità del pensiero religioso viene ulteriormente esposta come una gogna sulla pubblica piazza: l’uomo religioso viene così descritto come un cannibale che si auto-divora, controllato dal parassita-Dio.

In the last days of dreams
Toward a pale array orbit
Hiding inside our darkest deeds
Tomorrow we all bleed, we all fall…
And admire…
We all approach the unforgiving fire
We believe!
The ruler of the realm revealed
Our warm adulation
In coming before his voice
To tremble


Negli ultimi giorni dei sogni
Verso un’orbita dalla matrice pallida
Nascosta all’interno delle nostre azioni più oscure
Domani noi tutti sanguiniamo, noi tutti cadiamo…
Ed ammiriamo…
Ci avviciniamo tutti all’impietoso fuoco
Crediamo!
Il padrone del reame ha rivelato
La nostra calda adulazione
Facendoci avvicinare alla sua voce
Per tremare


Giungiamo così al segmento finale di God Protocol Axiom, un climax di oscurità e violenza verbali celate dietro la follia delle immagini evocate. Come un flusso di pensieri mosso dal sentimento di disgusto nei confronti delle “weapons of mass-hypnosis” (con queste parole si apre la successiva The Unlocking), l’ultima strofa della canzone sembra voler investire tutti i sensi dell’ascoltatore. Oltre all’ovvio udito, ritroviamo qui il tatto, stimolato dalle idee di fuoco e calore; l’olfatto dell’odore ed il gusto del sapore del sangue; la vista dell’ammirazione. Strisciamo davanti alla divinità, schiacciati, umiliati, schiavizzati da essa e, dunque, da noi stessi. Padroni della nostra schiavitù, creiamo il nostro creatore. Il sentimento religioso, nel ritratto che ne fanno i Dødheimsgard, è puro istinto autolesionista.



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