Era l'ormai lontano 2000 quando i Nightwish diedero alle stampe quello che tutt'oggi viene considerato uno dei loro dischi migliori: Wishmaster. Oltre a provenire da un'epoca (musicale) molto differente da quella attraversata dalla band finlandese oggi, Wishmaster resta anche uno degli album più amati dai fan, grazie a ritmiche sostenute e ad elementi sinfonici piacevoli e diretti, che hanno -già allora- fatto apprezzare i Nightwish ad un pubblico variegato e fedele. In mezzo però ai dodici brani che compongono l'album ce n'è uno in particolare che spicca sugli altri e non solo per la componente musicale, vediamo quale.
THE KINSLAYER
The Kinslayer è un up-tempo dal riffing di chitarra molto caratteristico e melodico, accompagnato da parti di tastiera dirette ma non troppo invasive e un drumming tirato che fa da sfondo ad una buona prova di Tarja, che mostra agilmente il suo range (dall'inizio su note più basse al finale più acuto). Di per sé dunque nulla di diverso da quello che i Nightwish proponevano all'epoca, e come avrete capito (anche vista la rubrica), in questo caso sarà il testo a fare la differenza. Tuomas Holopainen ha in questo caso parzialmente abbandonato le tematiche fantasy, quelle letterarie, l'amore per la poesia e tutto quanto ha da sempre caratterizzato le lyrics dei Nightwish, per passare all'attualità, la bruta attualità. The Kinslayer uscì infatti -più o meno- un anno dopo uno degli eventi che più aveva scosso l'opinione pubblica sul finire del millennio, e che aveva peraltro coinvolto -indirettamente- alcune personalità della scena metal: la strage della Columbine High School, avvenuta precisamente il 20 aprile del 1999. In quel giorno tremendo due giovani studenti, Eric Harris e Dylan Klebold, fecero irruzione, armati, presso la loro high school (l'equivalente americano delle nostre scuole superiori), aprendo il fuoco su compagni e professori durante le lezioni, uccidendo così tredici persone, prima di togliersi la vita a loro volta. Non si trattò di un fatto totalmente nuovo per gli USA, come non fu certamente l'ultimo caso analogo (Virginia Tech, Sandy Hook, giusto per citarne di successivi). Stimolò però -per vari motivi- l'opinione pubblica di tutto il mondo, coinvolgendo nel dibattito per l'identificazione delle cause anche elementi come i videogiochi usati dai due ragazzi (Doom in particolare) o la musica da loro ascoltata, cosa che portò ad un certo stigma verso la sottocultura goth e ad aperte critiche ad artisti come Marilyn Manson, Rammstein e KMFDM, che ovviamente si dissociarono, non mancando di sottolineare la stupidità di tali accostamenti. Il testo di The Kinslayer è quindi un tentativo di Holopainen di descrivere la tragedia, non per il gusto di indulgere su fatti dolorosi e ancora molto vicini, ma più che altro per mostrare le conseguenze di determinate situazioni sulla psiche umana, perché, come si evince dal testo (che ha tenuto in considerazione le opinioni formulate allora da alcuni psicologi) anche Harris e Klebold furono a loro modo vittime della società in cui vivevano, oltre che di patologie mentali che in un ambiente diverso sarebbero potute essere identificate e trattate in modo idoneo, impedendo così un episodio tanto tragico.
For whom the gun tolls For whom the prey weeps Bow before a war Call it religion
Per chi suona la pistola Per chi piange la preda Inginocchiati di fronte ad una guerra Chiamala religione
Il primo verso riprende -con un gioco di parole- un passaggio della meditazione numero 17 di John Donne, tratta dall'opera in prosa Devotions Upon Emergent Occasions. In questo famoso scritto (ripreso anche da Hemingway per il suo romanzo sulla guerra civile spagnola) il poeta inglese parlava così dell'importanza delle relazioni tra esseri umani:
No man is an island, Entire of itself. Nessun uomo è dunque un'isola e la morte di qualcun altro -in molti sensi- toglie qualcosa all'umanità e di riflesso anche a noi come individui. Il passaggio in originale recita:
For whom the bell tolls, It tolls for thee.
Se dunque una campana suona a morto, questa lo starà facendo anche per noi. Il testo dei Nightwish in questo caso sostituisce il termine "bell" (campana), con "gun" (pistola), ed è dunque quest'ultimo e più sinistro oggetto a battere quei "rintocchi" che hanno tolto la vita a quindici persone. Il "For whom" (per chi) viene poi ripetuto in riferimento al pianto delle "prede" e a quello di chi le piange. L'uso proprio del termine "prey" (preda) è significativo: la dinamica dell'attacco alla Columbine fu qualcosa di realmente drammatico: Harris e Klebold divennero a tutti gli effetti dei cacciatori e i loro compagni si ritrovarono braccati come prede, peraltro totalmente smarrite di fronte a predatori innaturalmente spietati ed inattesi. Anche i successivi riferimenti all'atto di inginocchiarsi e l'identificazione tra guerra e religione contribuiscono alla descrizione di quei momenti: molte delle vittime si inginocchiarono, per pregare Dio o i due aggressori, che in quel momento si stavano letteralmente sostituendo alla divinità nel decidere chi sarebbe vissuto e chi no. In particolare Harris venne descritto successivamente dagli psicologi come una personalità con un complesso di superiorità messianico, che lo portava a credere di potersi arrogare un diritto così assurdo.
Some wounds never heal Some tears never will Dry for the unkind Cry for mankind
Alcune ferite non guariscono mai Alcune lacrime non si asciugheranno mai per gli insensibili Piangi per l'umanità
La seconda strofa si presta almeno a due interpretazioni. Se l'ultimo verso è ovviamente universale, perché, riprendendo proprio l'idea di Donne, la morte di qualunque altro individuo è un evento doloroso per l'umanità, i primi tre invece possono riferirsi sia alle vittime che ai carnefici. Non guariranno mai le ferite (psicologiche) dei sopravvissuti, come non guariranno mai quelle dei parenti delle vittime, e le loro lacrime di rabbia verso gli aggressori ("unkind") saranno difficili da trattenere. Ma, nel contempo, non sono state solo le personalità problematiche di Harris e Klebold a causare la strage, vi sono anche delle concause ambientali (emarginazione, bullismo, omofobia) che hanno contribuito a scatenare la -comunque ingiustificabile- follia dei due studenti. In questo senso sono probabilmente da compatire anche le loro ferite psicologiche e le “lacrime” che hanno versato per colpa di chi non ha saputo comprendere il loro disagio o per colpa di chi l'ha addirittura alimentato.
Even the dead cry - Their only comfort Kill your friend, I don`t care Orchid kids, blinded stare
Persino i morti piangono - Il loro unico conforto Uccidi il tuo amico, non mi importa Ragazzini orchidea, sguardi accecati
L'immagine dei morti che piangono, come se questo fosse il loro unico conforto, apre una terza strofa più diretta e drammatica. Si sottolinea la totale freddezza di Harris e Klebold di fronte ai quei compagni che avrebbero potuto essere loro amici e che ora invece si ritrovavano a rischiare le loro vite. “Orchid kids” è invece un riferimento ai “bambini orchidea”, classificazione psicologica che riguarda la maggiore sensibilità di alcuni bambini (e successivamente ragazzi) allo stile educativo dei genitori e più in generale a determinati fattori ambientali. Si tratta di una predisposizione probabilmente di origine genetica che -sempre secondo gli psicologi- può o meno “attivarsi”, portando a conseguenze sia positive che negative. Qualora infatti questa maggiore sensibilità venisse correttamente guidata porterebbe a vantaggi come una maggiore “apertura” e voglia di esplorare, mentre nei casi in cui l'educazione porti ad un'evoluzione negativa non sono rari casi di comportamenti anti-sociali o dipendenze varie. La storia personale di Harris e Klebold rientra -secondo alcuni- in questa casistica, anche perché entrambi sono stati definiti come persone dotate e brillanti, ma la cui sensibilità è risultata fatale in reazione all'ambiente in cui vivevano.
Need to understand No need to forgive No truth no sense left to be followed
Bisogno di capire Nessuna necessità di perdonare Nessuna verità o senso rimasti da seguire
La necessità di capire i motivi di un gesto del genere viene sottolineata in questa quarta strofa. Il seguito della strage alla Columbine infatti fu lungo e doloroso, non solo per i parenti delle vittime (aggressori compresi), ma anche per il dibattito che scatenò in tutti gli strati della società americana. Vennero cercati moventi e colpevoli, che ovviamente furono identificati in molti elementi diversi, spesso opposti a seconda di chi era a porsi la domanda. I conservatori (insieme ad alcuni gruppi di estremisti cristiani) cercarono di dare la colpa ai videogiochi, alla musica metal, alla sottocultura goth e ad altri elementi di anti-conformismo riscontrabili nei diari dei due ragazzi. I progressisti puntarono invece il dito sulla facilità con cui persone con questo tipo di problematiche abbiano avuto accesso ad armi ed esplosivi sufficienti a realizzare un piano di questa portata. In questo senso non c'è forse necessità di perdonare. L'insensatezza di un gesto simile, la situazione di disagio dei due (peraltro morti suicidi al termine dell'attacco), bastano da soli a visualizzare tutti i livelli di questa tragedia e la flebile linea che separa in questo caso le vittime dai carnefici.
"Facing this unbearable fear like meeting an old friend" "Time to die, poor mates, You made me what I am!"
"Affronto questa insopportabile paura come stessi incontrando un vecchio amico" "Tempo di morire, poveri compagni, siete voi che mi avete reso quel che sono!"
Da questo punto in poi il testo inizia a presentare diverse citazioni, a quanto pare attribuibili in parte ad Harris e Klebold e altre ovviamente alle vittime. Basandosi ovviamente su varie testimonianze non ne è probabilmente sempre garantita la veridicità, ma si tratta comunque di un elemento in questo caso di secondaria importanza se rapportato all'effetto descrittivo che sprigionano. In questo passaggio si nota la freddezza dei killer e la profonda rabbia che li guida, così forte da portarli a superare la paura di una morte che già avevano programmato pur di portare quelli che consideravano i loro aguzzini con loro.
"In this world of a million religions everyone prays the same way" "Your praying is in vain - It`ll all be over soon" "Father help me, save me a place by your side!" "There is no god - Our creed is but for ourselves"
"In questo mondo di un milione di religioni, tutti quanti pregano allo stesso modo" "Il vostro pregare è invano - Sarà tutto finito tra poco" "Padre (Dio) aiutami, conservami un posto al tuo fianco" "Non c'è nessun dio - Il nostro credo non è che per noi stessi"
Le considerazioni sulla religione si sono ovviamente susseguite in gran quantità, sia per il disprezzo del credo da parte di Harris e Klebold ma anche per il tentativo da parte di alcuni gruppi di estremisti cristiani di identificare alcune delle vittime come martiri, strumentalizzando in maniera pesante alcune delle storie di persone che hanno perso la vita durante la strage.
“Not a hero unless you die - Our species eat the wounded ones"
"Drunk with the blood of your victims I do feel your pity-wanting pain, Lust for fame, a deadly game"
"Non sei un eroe a meno che tu non muoia - La nostra specie si nutre dei feriti"
"Ebbro del sangue delle nostre vittime Sento il vostro dolore desideroso di pietà Brama per la gloria, un gioco mortale"
Una frase che evoca le peggiori declinazioni del darwinismo sociale e che evidenzia in un certo senso la condizione di “feriti” di Harris e Klebold, che a causa di alcune loro tendenze anti-conformiste vennero emarginati ed ostracizzati dalla società, situazione che li portò a crearsi un'idea distorta di eroismo che si concretizzò nella distorta brama per una “gloria” inesistente in relazione ai loro atti. In particolare fu il loro desiderio di vendetta per gli insulti subiti li aveva portati quasi a godere delle richieste di pietà dei loro compagni, proprio in virtù del già citato complesso messianico che affliggeva quantomeno Harris.
"Run away with your impeccable kin!"
"Scappa via con il tuo impeccabile simile"
Poche parole ma di grande efficacia. La situazione si è rovesciata: i due reietti detengono un potere spropositato esercitato in modo folle, mentre quelle persone così “perfette” e ben integrate nella complessa realtà sociale di una high school di provincia americana, sono obbligate a scappare.
"Good wombs hath borne bad sons..." Cursing, God, why? Falling for every lie Survivors` guilt In us forevermore
"Buoni grembi hanno partorito cattivi figli…" Maledizioni, Dio, perché? Credendo ad ogni bugia La colpa dei sopravvissuti In noi per sempre
Il primo verso è una battuta del personaggio di Miranda, tratta dalla scena seconda dell'atto primo de La Tempesta, di William Shakespeare. Non è stata scelta a caso da Holopainen mentre scriveva il testo, bensì si tratta di una frase ritrovata nel calendario di Eric Harris, riportata esattamente nel riquadro del giorno della festa della mamma. Indubbiamente il disagio di questi ragazzi includeva anche un senso di “mancanza” rispetto alla propria famiglia (entrambi provenivano infatti da situazioni abbastanza normali), probabilmente anche causato dalle angherie subite e dalla difficoltà nel ritagliarsi uno spazio in una società da loro considerata ostile. Il resto della strofa invece si concentra su reazioni molto consuete e molto umane che spesso seguono un evento di questa portata: le domande di chi crede a Dio e i sensi di colpa di chi è sopravvissuto.
15 candles Redeemers of this world Dwell in hypocrisy: "How were we supposed to know?"
4 pink ones 9 blue ones 2 black ones
15 candele I redentori di questo mondo dimorano nell'ipocrisia: “Come potevamo saperlo?”
4 (candele) rosa 9 blu 2 nere
Il testo si chiude poi con la metafora delle quindici candele (una per ogni vittima), poi divise cromaticamente in: quattro rosa (per le ragazze), nove blu (per i ragazzi) e due nere (per Harris e Klebold).
Non manca però un ultimo e conclusivo doppio significato nel resto della strofa. Se il termine “reedemers” fu quello con cui si erano soprannominati i due killer e se molte delle loro convinzioni si rivelarono estremamente ipocrite (come determinati comportamenti a sfondo razzista mentre loro stessi erano vittime di altre forme di bullismo), non è pero difficile leggerci anche una critica a quei “redentori” che invece si persero a pontificare sui fatti della Columbine, cercando capri espiatori e assegnando responsabilità a destra e a manca. Porsi domande come quel “noi come potevamo saperlo?” fu il modo migliore per molti per nascondere la testa sotto la sabbia, rifiutarsi di lavorare sul disagio giovanile o di cogliere segnali preoccupanti che avrebbero probabilmente potuto -se identificati- impedire un fatto di questa gravità, come altri casi analoghi che purtroppo ancora sconvolgono le scuole, non solo americane.
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