Non impareremo mai dalla storia, ma continueremo sempre a commettere i nostri errori. A vent’anni di distanza, le parole scritte da Dave Mustaine per la strepitosa Holy Wars... The Punishment Due, perla introduttiva dell’ultra-technical thrash di Rust In Peace, sono ancora molto attuali ed adattabili al contesto storico-politico in cui viviamo. Del resto, una ‘guerra santa’ resta sempre un paradosso, in qualsiasi epoca la si collochi: dalle crociate medievali alle azioni militari con cui Saddam Hussein annetteva il Kuwait all’Iraq. Nel 1988 il chitarrista dei Megadeth, sotto il dannoso effetto degli stupefacenti, si era lasciato andare ad un rischioso attacco verbale: a Belfast (Irlanda), scenario di sanguinose e famigerate guerre civili nel nome della religione, osò chiedere il ritiro di alcune magliette non ufficiali che venivano vendute per supportare la causa delle lotte tra cristiani e protestani, meritandosi in cambio sputi e l’esilio dai palchi irlandesi per un decennio buono. Già allora, però, il carismatico californiano si era lasciato trasportare dalla collera anche in funzione di un ragionamento che gli sembrava tutto fuorchè logico.
Come cazzo può una religione permettersi di dire qualcosa contro un’altra religione?
Capolavoro di tecnica, velocità, perizia stilistica e incisività lirica, Rust In Peace è da molti ritenuto il masterpiece assoluto del tormentato quartetto di Los Angeles. In realtà tutti o quasi i pezzi contenuti in scaletta trattano tematiche delicate e socialmente impegnate, ma quello che meglio identifica l’intero pensiero di Mustaine è proprio Holy Wars... The Punishment Due, l’intricata opener che diventa uno dei cavalli di battaglia più conosciuti ed ammirati del combo d’oltreoceano. La canzone esplode con una combinazione di riff al vetriolo mitragliati a folle velocità, sui quali il rosso chitarrista di La Mesa inizia a cantare dopo circa un minuto e mezzo, nel quale si vedono rallentamenti, una prima riaccelerazione, certi riffs più pesanti ed una breve sezione melodica. Sul campo di battaglia, ogni soldato si trova di fronte un proprio fratello: ragazzi come lui, che combattono per la propria patria e sono portati a neutralizzare un altro uomo, soltanto nel nome di una battaglia decisa da altri. Il sangue che macchia la terra nel nome di Dio: Dave Mustane, lo dice esplicitamente, non riesce in nessun modo a comprendere come questo sia possibile, dato che la religione dovrebbe insegnare ad amare il prossimo e rispettare chi crede in qualcosa di diverso. E allora il leader della band americana si mette nei panni di un soldato, forse volontario, che attraversa l’oceano guidato da una folle inconsapevolezza di ciò a cui va incontro. Paragonando le masse ad un gregge di pecore, che accetta mestamente qualsiasi fandonia gli venga propinata, Mustaine continua a chiedersi come si possa uccidere nel nome di Dio. E’ evidente che la religione è solo il pretesto dietro il quale si celano i veri interessi. Economici, politici. Ma la massa non se ne accorge, perché basta sbandierare il nome del Creatore per aizzare le folle e spegnere i lumini della ragione, generando panico, rivoluzione, movimentazione pubblica.
Brother will kill brother
Spilling blood across the land
killing for religion
Something i don't understand
Fools like me, who cross the sea
And come to foreign lands
Ask the sheep, for their beliefs
Do you kill on God's command?
Fratello che uccide fratello
Spargendo sangue in tutto il paese
Uccidere per la religione
E’ qualcosa che non capisco
Pazzi come me, che attraversano il mare
Ed arrivano in terre straniere,
Chiedete alle pecore se nel loro Credo
Si uccide al comando di Dio?
Sul medesimo canovaccio ritmico, e senza sosta alcuna rispetto alle prime due strofe, Mustaine continua la sua arringa iniziale, spostando le sue accuse in un contesto più dettagliato, che inizia ad indirizzare le coordinate geografiche della canzone nei Paesi arabi contro i quali la sua America ha puntato i cannoni. Sembra quasi che la grande potenza statunitense prometta ai propri cittadini un conflitto col quale saranno spazzati via, definitivamente, tutti i problemi, tutte le disgrazie e senza alcuna polemica: del resto un paese diviso non può reggere, per cui tanto vale calare le proprie truppe in Medioriente e assumere tutte le decisioni. Emergono qui quelli che sembrano essere i riferimenti ai conflitti tra arabi ed israeliani, che hanno portato il pensiero comune ad associare questa composizione alla Guerra del Golfo: in realtà Mustaine dichiarerà in seguito di aver vergato questi versi un paio di anni prima, dunque nel 1988, facendo in parte crollare questa tesi e, invece, rafforzando quanto si diceva in incipit: sono parole senza tempo, che calzano a pennello su qualsiasi tipo di conflitto nel quale gli interessi economici vengono mascherati nel nome di Dio. Per difendere l’ordine internazionale e la libertà di credo, le potenze occidentali si sono spesso scagliate contro i paesi orientali, rei di terrorismo e crociate anacronistiche: ma è evidente che sotto queste missioni ‘doverose’ ci sia anche una forte attrattiva per l’oro nero situato sotto i piedi del nemico.
A country that's divided
Surely will not stand
My past erased, no more disgrace
No foolish naive stand
The end is near, it's crystal clear
Part of the master plan
Don't look now to Israel
It might be your homelands
Holy wars
Un Paese che è diviso
Sicuramente non reggerà
Il mio passato e' cancellato,non ci saranno più disgrazie
Non rimane più nessun folle ingenuo
La fine è vicina, è chiaro cristallino
Fa parte del piano generale
Ora non guardate Israele
Potrebbe essere la vostra patria
Guerre sante
La canzone rallenta e s’affievolisce, accarezzata da alcuni arpeggi, sui quali Mustaine riprende la narrazione, prima con vocione cupo e cadenzato e poi con un approccio più aperto e nasale tipico della sua pronuncia, incastonato su un sottofondo melodico sinistro e decadente, che cresce con un assolo molto acuto e torvo; facile decidere i destini delle nazioni seduti sulle proprie poltrone, o all’interno dei tribunali, sembra accusare Mustaine, che inquadra il suo mirino sulla figura di un emblematico leader politico. Naturalmente, nella testa di Mustaine, la figura rispecchia il volto di Saddam Hussein, che dall’alto del suo pulpito e di fronte ad una folla oceanica, s'impegna a cambiare il mondo, incarnando in sé quella tipica immodestia che porta dittatori e governanti a sentirsi veri e propri messaggeri della giustizia divina. La popolazione non può che acclamare, credere ciecamente alle promesse di chi guida la nazione barricato nelle stanze dei bottoni, mentre missili e bombe andranno a colpire proprio loro, i civili, che tra le campagne e le città vedranno i propri cari morire, strisciare per terra in pozze di sangue, disperdersi nel panico. Anche se Holy Wars è stata scritta qualche anno prima della guerra del golfo, lo stesso Mustaine ha lasciato che la gente la accostasse proprio al contesto storico iracheno, utilizzandola come manifesto contro ogni sorta di guerra ‘santa’ o civile (appellativi che, a ben pensarci, sono privi di ogni senso logico) e presentandola come ‘dedica’ allo stronzo numero uno, ovvero lo stesso Saddam, colpevole di una dittatura pressante e di laceranti faide religiose nel proprio paese.
Upon my podium, as the “I know it all” scholar
Down in my seat of judgement
Gavel's bang, uphold the law
Up on my soapbox, a leader
Out to change the world
Down in my pulpit as the
Holier-than-thou could-be-messenger of God
Sul mio podio, come uno studente saputello
Seduto sul mio trono del giudizio,
il suono del martello del giudice difende la legge
In piedi sul mio palco per il comizio, un leader
si impegna a cambiare il mondo
Giù nel mio pulpito,
come un bigotto messaggero di Dio
A questo punto arriva dunque un nuovo verso, stilisticamente nel medesimo fatturato del precedente. Dal pulpito del leader ci si sposta in uno scenario di guerra, e sembra quasi di correre davvero tra le rocce per schivare gli attacchi. L’obiettivo si focalizza sulle figure dei mercenari, personaggi che si muovono su linee sottili e pericolose: c’è chi rischia pur di averli dalla propria parte e chi punta solo alla loro distruzione. La morte è il filo conduttore che accomuna entrambi gli schieramenti. Strategie ed errori di calcolo si accavallano, mietendo vittime innocenti con l’unico scopo di ottenere la testa del nemico: non c’è tempo per riflettere, non c’è tempo per la compassione, e infatti –quasi a voler imitare l’impellenza di un’azione che spazzi via ogni ostacolo senza più alcuna concessione- si salta a piè pari in una serie improvvisa di riff secchi e adrenalinici, i quali portano a mille la tensione.
Wage the war on organized crime
Sneak attacks, repel down the rocks
Behind the lines
Some people risk to employ me
Some people live to destroy me
Either way they die
The killed my wife, and my baby
With hopes to enslave me
First mistake... last mistake!
Paid by the alliance, to slay all the giants
Next mistake… no more mistakes!
Dichiarare guerra al crimine organizzato
Fare imboscate, fuggire oltre le rocce
Dietro le linee
Alcuni rischiano per ingaggiarmi
Alcuni vivono per distruggermi
In entrambi i casi muoiono
Hanno ucciso mia moglie e mio figlio
Nel la speranza di rendermi loro schiavo
Primo errore… ultimo errore!
Pagati dagli alleati per massacrare tutti i giganti
Al prossimo errore… niente più errori!
L’headbangers medio non potrà che perdere la ragione davanti a una mitragliata di riffs e fischi da capogiro, che vengono fomentati dagli ultimi stralci lirici, professati dopo un contorto assolo, tra i migliori dell’intera produzione della band americana; aggressivo e marziale, Mustaine corre a capofitto in una strofa di criptica interpretazione, nella quale lascia intendere come siamo soltanto delle marionette alle quali l’unica cosa che non si può strappare è la ragione. Il verso Riempi le crepe con granito giudiziario sembra alludere alla tendenza, da parte dei governi, di nascondere gli scandali e i reali interessi sotto il pretesto della guerra, intesa come autodifesa e mezzo per assicurela libertà individuale ai propri cittadini. Nell’arco dell’intero testo emerge la grande coscienza sociale e policia di <>Dave, che del resto non è mai venuta meno negli album della sua band; nonostante uscisse da un periodo veramente letale a causa delle sue dipendenze devastanti, il musicista riusciva comunque a mantenere la lucidità e scrivere dei brani interessanti e attuali anche a distanza di anni, segnale inequivocabile di come sia sbagliato, talvolta, generalizzare e accusare i tossicodipendenti di essere persone prive di coscienza e morale. La verità è che nella tossicodipendenza, spesso, finiscono persone con problemi e annesse fragilità d’animo, che non sarebbero da attaccare ma che, anzi, meritano un aiuto e una comprensione in più rispetto a chi sa fronteggiare le difficoltà della vita in modo più sobrio.
Fill the cracks in, with judicial granite
Because I don't say, I don't mean it I ain't Thinkin' it
Next thing you know, they'll take my thoughts away
I know what I said, now I must scream of the overdose
And the lack of mercy killings
Next thing you know, they'll take my thoughts away
Riempi le crepe con granito giudiziario
Il fatto che non ne parlo non significa che non ci penso
La prossima cosa che saprete è che si prenderanno i miei pensieri
So quello che ho detto, ora devo gridare per l’overdose
E della mancanza di morti indolori
La prossima cosa che saprete è che si prenderanno i miei pensieri
In oltre sei minuti di riff e trame labirintiche viene concentrata l’essenza di una band da sempre in prima linea quando si parla di politica corrotta, di guerre spacciate per ‘giuste’, di pietose bugie date in pasto alla massa ignorante. E allora è bello concludere con una dichiarazione di Mustaine, tesa a spiegare il titolo del disco e il messaggio che esso cercava di trasmettere:
Stavo tornando dal lago Elsanon e, mentre in autostrada cercavo di prendere la scia di un’altra vettura, feci caso ad un adesivo sul suo paraurti. Riportava uno slogan di quelli umoristici: da un lato diceva ‘’una sola bomba atomica potrebbe rovinarti l’intera giornata’’, dall’altro invece ‘’possano tutte le vostre armi arrugginire in pace’’. Pensai: ‘Rust In Peace’, dannazione, questo si che è un buon titolo! E poi ancora: che cosa intenderanno con ‘’arrugginire in pace’’? mi sono figurato una scena simile: tutte queste testate abbandonate, depositate in qualche posto tipo Seal Beach, coperte di ruggine e sporcizia, con i ragazzini che ci dipingono graffiti sopra. Penso che sia una delle prese di posizione più profonde che potessimo prendere, così come lo era 'Holy Wars'. E’ la mia visione ideale: vorrei che tutte le armi nucleari fossero eliminate, che qualcuno disattivasse le testate. Dopo ci sarebbero da fare i conti con l’uranio e il plutonio, ma è un problema che in realtà abbiamo già adesso.
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