Credo che, dovendo parlare di testi, il progressive di matrice italiana abbia prodotto una mole veramente importante di lavori degni di essere ricordati. La vena poetica e/o impegnata che un tempo era tipica di noi italiani è stata ampiamente sfruttata da buona parte dei gruppi appartenenti a questa area musicale, ed anche se non sempre i risultati sono stati degni di essere ricordati anche distanza di decenni, alcuni hanno raggiunto vertici veramente meritevoli di essere trasmessi ai posteri, specilmente perchè i suddetti posteri -ossia noi contemporanei- abbagliati dall'uso della lingua inglese che invece nasconde spesso dietro una pronuncia così rock una pochezza di contenuti talvolta sconcertante, raramente hanno conservato contezza di quanto possa essere sublime l'uso della lingua di Dante correttamente inserita all'interno di una metrica musicale ricercata ed in grado di esaltarla.
Uno dei migliori esempi in tal senso ci è stato fornito dal Banco del Mutuo Soccorso con il testo di R.I.P., pezzo contenuto in Banco del Mutuo Soccorso, che trovo assolutamente degno di essere ricordato per impegno misto ad un senso della poesia in gran parte ormai tristemente desueto.
Il pezzo è introdotto da un brano essenzialmente strumentale -Il Volo- preceduto da una citazione Ariostesca dell'Orlando Furioso che personalmente trovo necessario rimarcare, trovandola descrittiva dell'intero spirito dell'album e di conseguenza del testo che qui analizziamo ed in quanto dichiarazione filosofico/programmatica della ricerca della verità delle cose e degli intenti del disco.
Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo,
e sfrena il tuo volo dove più ferve l'opera dell'uomo.
Però non ingannarmi con false immagini,
ma lascia che io veda la verità e possa poi toccare il giusto.
Da qui, messere, si domina la valle.
Ciò che si vede, è.
Ma se l'imago è scarna al vostro occhio,
scendiamo a rimirarla da più in basso,
e planeremo in un galoppo alato, entro il cratere ove gorgoglia il tempo.
La musica de Il Volo è soffusa, allucinata, bucolica, sospesa, e serve a far risaltare l'attacco deciso di R.I.P., creando nell'ascoltatore quella tensione emotiva necessaria per apprezzare ed attenzionare a dovere la fusione tra musica e testo. La frattura tra intro ed inizio reale dell'album è netta, quasi crudele.
Cavalli corpi e lance rotte
si tingono di rosso,
lamenti di persone che muoiono da sole
senza un Cristo che sia là.
Poesia, si, ma priva di retorica. Niente che tolga alla morte ed alla violenza la bestialità che possiedono, l'assoluta cecità che li anima. Il rosso del sangue di uomini e cavalli scorre su lance spezzate, mentre la morte ghermisce i feriti sofferenti, sopravvissuti soltanto per prolungare l'agonia che li porta alla morte solitaria, Senza un Cristo che sia là, qualunque sia il loro Cristo.
Pupille enormi volte al sole
la polvere e la sete
l'affanno della morte lo senti sempre addosso
anche se non saprai perchè.
Requiescant in pace. Requiescant in pace.
Requiescant in pace. Requiescant in pace.
Le pupille dilatate dei cavalli sono crudo riassunto e semplificazione dell'alone di morte che tutto avvolge, che permea il guerriero costretto a combattere senza conoscere la ragione del suo infliggere la morte, del suo procurare dolore nonostante la polvere e la sete che ottunde i sensi. Uno sforzo senza perchè, fino alla morte. Requiescant in pace.....Requiescant in pace.
Il virtuosismo solistico tipico delle grandi band progressive comunica il senso della battaglia, e la voce piena e profondamente evocativa di Francesco Di Giacomo rende perfettamente il pathos del testo.
Su cumuli di carni morte
hai eretto la tua gloria
ma il sangue che hai versato su te è ricaduto
la tua guerra è finita
vecchio soldato.
La musica incalza, serra alla gola, il testo si fa più crudo, più nero, più rabbioso, più accusatorio.
Per cosa ha lottato, soldato? Su cosa regge il tuo status? E soprattutto, dove porta la tua guerra infinita?
Il sangue chiama sangue, sempre!!
La musica cambia repentina sulle ultime parole della strofa, diventa malinconica, tristemente accusatoria, la battaglia è finita, l'ultimo scontro è perso. A cosa è valso lottare? A cosa è valso respirare l'odore acre della putrefazione fisica e morale? A cosa è valso trascorrere la vita camminando sul versante oscuro della morte? A nulla, e rimane solo un ultimo momento per prenderne amarissima coscienza.
Ora si è seduto il vento
il tuo sguardo è rimasto appeso al cielo
sugli occhi c'è il sole
nel petto ti resta un pugnale.
Incredibilmente efficace nel suo lirismo alto l'immagine del vento che si siede e dello sguardo appeso al cielo, forse in un ultimo, disperato, vuoto tentativo di aggrapparsi all'infinito, e poi di giacere con il sole nelle pupille, nonostante il pugnale nel petto frutto di una vita assurda, votata alla vuota distruzione.
e tu no, non scaglierai mai più
la tua lancia per ferire l'orizzonte
per spingerti al di là
per scoprire ciò che solo Iddio sa.
Nulla c'è più da fare, e l'ennesima immagine di struggente poesia della lancia che non può più ferire un orizzonte violentato ed altrimenti placido, fatto per l'uomo, precede l'unica spiegazione possibile per il comportamento del soldato simboleggiante tutti i combattenti. Il tentativo superbo di superare il limite, di tracciare nuovi confini, di andare oltre, senza calcolare mai il prezzo che questo comporta, la sofferenza che procura, le conseguenze per chi verrà dopo.
Ed ancora una volta per chi? Per cosa? Visto che:
(ma) di te resterà soltanto
il dolore, il pianto che tu hai regalato
per spingerti al di là
per scoprire ciò che solo Iddio sa.
Per spingerti al di là,
per scoprire ciò che solo Iddio sa...
E che sia il 1972, il 2010, o qualsiasi altra data: Ne valeva la pena, soldato?
Ne valeva la pena?
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