Sebbene i Down, il più celebre supergruppo di tutta la Lousiana, non sia noto per la prolificità in studio, ha scritto nel corso della sua pluridecennale carriera almeno due capitoli obbligatori (NOLA, Down II: A Bustle in Your Hedgerow) di sano e genuino southern metal, tra cui uno di fondamentale importanza per lo sviluppo del genere, proposto dal leggendario quintetto (Phil Anselmo, Pepper Kennan, Kirk Windstein, Jimmy Bower, raggiunti poi da Rex Brown) in una miscela unica, cotta a puntino fra gli spasmi dello sludge più marcio, il pathos e il calore del blues e, dulcis in fundo, la devozione onnipresente per i Black Sabbath, convogliando in tutte le opere, dalla prima all’ultima, passione dei singoli membri e retaggio culturale del collettivo. Con questa formula, quella del side-project, che ai tempi della primo demo del 1992 doveva trattarsi all’incirca di una rimpatriata in sale prove e studi di registrazione fra una manciata di amici inclini a ben più di un vizio, esuli dai loro impegni discografici principali (Pantera, Crowbar, Eyehategod, Corrosion of Conformity), entrò poi a far parte della storia del metal già nel 1995, con l’uscita del primo full length, NOLA.
GHOSTS ALONG THE MISSISSIPPI Ben sette anni ci vollero perché la band di New Orleans partorisse una seconda fatica discografica. Sette anni in cui rock e metal erano evoluti ed erano mutati radicalmente: dal cambio dei trend musicali imperanti (sul piano “mainstream”), ad un altro, sterminato elenco di fattori. Non è questa la sede più adatta per discuterne. Doveroso, però, segnalare che i Pantera, erano entrati in una pausa nel 2001, divenuta in seguito scioglimento effettivo e definitivo, dopo la pubblicazione del loro ultimo disco di inediti, Reinventing the Steel. E fu proprio nell’autunno del 2001, che i Down, forti di un nuovo bassista - un certo Rex Brown.. -, registrarono in 28 giorni di totale ispirazione, in un granaio adibito a studio di registrazione, nel sud più profondo della Lousiana, di proprietà di Phil Anselmo, questo Down II: A Bustle in Your Hedgerow. Là, dove il Mississippi sfocia. Là, dove il Mississippi, trovandosi faccia a faccia col golfo del Messico, confessa i propri peccati ed espelle, mentre diviene oceano, i propri scheletri. Ghosts Along the Mississippi è uno dei brani imprescindibili della breve discografia dei Down (piuttosto, ce ne sono di brani trascurabili nei primi tre platter?) e venne usato come secondo singolo, dopo Beautifully Depressed. Ciò che innalza il valore artistico del brano analizzato, Ghosts Along the Mississippi, è, oltre alla sezione strumentale, il suo testo, scritto, elaborato e adattato da tutti e cinque i membri dalla band. Un brano destinato fin da subito a divenire manifesto di un’epoca, di un luogo, degli ideali distruttivi di Anselmo e, per analogia, anche degli altri quattro membri. Quegli ideali che contribuirono in parte all’implosione irreparabile dei Pantera, che come pochi altri avevano segnato il metal dei primi anni ‘90, rimanendo ancora oggi nell’immaginario di intere generazioni di metalheads. Un manifesto circoscritto all’interno dei pochi versi che costituiscono questo brano, ma, per comprenderlo fino in fondo, è necessario risalire ancora una volta alla militanza del cantante nei Pantera e a quell’overdose di eroina del luglio ‘96, che condusse Anselmo ad un arresto cardiaco quasi fatale. Uno stato di “morte apparente” che lo pose in un limbo fra la vita e la morte fisiologica, nel quale anche altri artisti si sono ritrovati (Dave Mustaine, ad esempio). Non che prima del ‘96 Anselmo fosse noto per essere uno Straightedge, ma è pur vero, come dimostra il suo rapporto con Vinnie e Dimebag, quanto il cantante avesse toccato il fondo con l’abuso di sostanze stupefacenti dal 1996 al 2001. Ghosts Along the Mississippi nasce per narrare in musica le vicissitudini di questo quinquennio. E’ uno spaccato di vita, un brano totalmente autobiografico, che racconta dell’Anselmo che prometteva ai fratelli Abbott, dopo quell’overdose, di troncare il rapporto con le droghe (pesanti), dell’Anselmo junkie piegato in due su sé stesso, in astinenza, disperato, combattuto, ma con lo sguardo perso nel vuoto, con un unico pensiero fisso, la dose quotidiana e, infine, dell’Anselmo (quasi) libero, come emerge nei versi conclusivi.
In the morning, it takes me quite a while to clear my head. And as the day moves on, I find it hard to smile at something said So I took control, priority number one, and that’s me Then I cut the dragon’s head off, and put away my gun, so let it be So let it be
La mattina ci vuole del tempo per schiarire la mente E mentre la giornata prosegue, mi è difficile sorridere a qualcosa dettomi Mantengo la calma, priorità numero uno, e sono io, Taglio la testa al drago, metto via la pistola, e così sia, e così sia.
Brutale realismo, schietto, privo di fiction. Il set del brano? Scontato. Una stanza lurida, un divano ancor più lurido, una siringa, un cucchiaino ancora caldo, pastiglie sparse, l’ultima sigaretta rimasta della notte infame appena trascorsa, qualche bottiglia vuota e decidetelo voi, il resto. Si comincia con un’innocua, una classica situazione di “hangover”, un verso in cui potremmo ritrovarci un po’ tutti (siate sinceri, suvvia), avviata dallo storico riff bluesy e lercio del duo Pepper Keenan a.k.a. “Sgt. Pepper” a.k.a. “The Sarge”/ Kirk Windstein a.k.a. “Toots Sweet” , per poi diventare un trionfo di bending, wah e delay, che da forma a un gracchiare sottostante di corvi perpetuo. Immagini annebbiate, suoni indistinti, bocca impastata, difficoltà di articolare ogni sillaba e si barcolla in lungo e in largo per la stanza per ore. E mentre i corvi incalzano, creando un’atmosfera commovente, impianto eccelso per “colui che non sorride a nulla”, fa capolino un verso, il penultimo, che lascia trasparire uno spiraglio di luce. Dalla stanza degli orrori ci si sposta al “Rehab”: “I cut the dragon’s head off”, è slang, come è slang “and put away my gun”. Nel primo verso Anselmo ci dice che sta “tagliando la testa al drago”, l’eroina, sta provando ad uscirne mentre nel secondo “gun” è sinonimo di “needle”, ago. Sì, siamo nel 2001 e il nostro cantante sta per cominciare una delle battaglie più importanti della sua vita, ma la strada è ancora lunga.
I’m dying prematurely, I’m wasting my life for sure I’m trying to kill what’s happening to me A ghost along the Mississippi
Sto morendo prematuramente, sto distruggendo la mia vita, Sto provando ad uccidere ciò che mi sta accadendo Un fantasma lungo il Mississippi.
Nel refrain la voce sommessa della prima strofa diventa rabbia, il southern si fa sludge in quella che è una terzina potentissima, che non ha bisogno di spiegazioni, anzi, è proprio essa a darci un’idea di cosa e chi fosse Phil “Nodferatu” Anselmo nel 2001, con la doppia metafora che riprende il titolo del brano: un fantasma, uno spettro, un’entità errabonda, massacrata dai fan dei Pantera, dai media, ma dotata di un talento incommensurabile, e nell’essere cantante e nell’essere frontman, e rifugiatasi nel suo Mississippi, in un “barn”, un granaio, nel sud della Lousiana. “Ghost” che è allo stesso tempo metafora (e qui si ricollega con il secondo verso), della propria dipendenza dall’eroina, complemento oggetto esplicito di “what’s happening to me”.
I never thought before, a life could be so strange, but it is And I guess my one a day, became ten or twelve or more, and more But I’ve got a gift, it’s something called my friends or love With them and I combined, I’ll beat an early end, it’s been done before
Non ho mai pensato che la vita potesse essere così strana, ma lo è E penso a come “uno” in un giorno, sia divenuto “dieci” o “dodici” o più, e più Ma ho un dono, ed è qualcosa chiamato “amici o amore”, Unito con loro, sconfiggerò una fine vicina, è (già) stato fatto in precedenza.
Si ritorna alle atmosfere iniziali, con i corvi lanciati in volo dalle due asce che suggellano un’altra strofa struggente, quanto difficile da decifrare nel finale. Nel primo verso (“I never thought before…”) si nota un Anselmo che palesa quanto la quotidianità sia ormai ai limiti del sopportabile, che lo sta portando a vivere un’esistenza divenuta “strana”, che dai primi posti nelle classifiche raggiunti con i Pantera (Far Beyond Driven) e dal successo (inaspettato, ma meritato) ottenuto con NOLA, stava rischiando di scivolare via in un abisso senza fondo e senza ritorno. Quell’ “uno”, una sola dose, non era più sufficiente a saziare il richiamo delle proprie vene. L’ago doveva trapassarle dieci o dodici volte, o ancor di più. E se Anselmo sconfiggerà in futuro questo mostro (non prima del 2002/2003…) che lo sta conducendo verso un tragico epilogo prima di un decorso biologico, sarà anche grazie all’amore (si sposò il 31 ottobre 2001 con la storica fidanzata, Stephanie Opal Weinstein) e agli amici (quattro li abbiamo qui, nei DOWN). E infine abbiamo quel “...it’s been done before”. Quando è stato fatto? E grazie al supporto di chi? Quest’affermazione rimane tuttora un punto interrogativo.
No time of passing away, of losing just one more day I’m trying to kill what’s wrong with me A ghost along the Mississippi
Non è ancora tempo di morire, non c’è tempo di perdere l’ennesimo giorno Sto provando ad uccidere ciò che c’è di sbagliato in me Un fantasma lungo il Mississippi
E di nuovo, attraverso riverberi, delay e mazzate sludge, il quintetto supporta e dichiara le intenzioni del cantante, con una forza roboante. Lasciamo sia la musica a parlare, prima dello sfogo liberatorio finale, grido disperato lanciato dal punto più basso toccata da uno dei più grandi frontman di tutti i tempi.
Can’t happen to me Won’t do it to me Can’t happen to me Won’t do it to me Can’t happen to me Won’t do it to me
Due frasi: “non può succedere a me” e “(l’eroina) non riuscirà a farla a me”, non riuscirà a vincermi, non riuscirà a sopraffarmi, il primo verso ripetuto con la rassegnazione sconsolante di un “vinto” che sa di aver sbagliato, il secondo cantato con la convinzione di chi vuole dare una svolta alla propria vita. Due versi ripetuti allo stremo, una strofa che non vorremmo terminasse mai, sporcata di continuo dagli intrecci chitarristici di Keenan/Windstein, dai quali non traspare, tuttavia, luce alcuna, prima dell’iconico “Let’s go!”, che riunisce tutto il carrozzone di New Orleans in ultimo, sentitissimo, assolo blues laccato di metallo epico.
Destroying what’s got a hold of me No more the ghost of Mississippi
Distruggendo ciò che mi possiede Non c’è più il fantasma del Mississippi
Ultima strofa, ultima dichiarazione d’intenti. Phil Anselmo si accomoda sui feedback e ci da la propria parola: la disintossicazione è cominciata ed è, effettivamente, a buon punto.
Molti di voi si staranno chiedendo perché “a buon punto” e non “completata”. Anselmo dichiarò anni dopo, di come tra il 2002 e il 2003 ebbe una ricaduta, insieme a un amico di vecchia data, che rischiò di morire a causa di overdose. Dopo aver smaltito lo shock, Anselmo mise da parte l’ago una volta per tutte, per avvicinarsi con ancor più determinazione a cliniche e metadone, ma anche a una nuova dipendenza, a una nuova esperienza segnante...ma questo capitolo costituisce un’altra parte, temporalmente più vicina a noi, della vita di Phil Anselmo e che svia troppo da quello che è stato per anni l’unico, vero, terrificante “Fantasma del Mississippi”. Oggi, questo fantasma, lo si ritrova morto e sepolto nei pressi del delta del Mississippi, ma per scorgerlo basta solamente scorrere fino alla quinta traccia di Down II: A Bustle in Your Hedgerow e premere “play”. E ci si ritroverà immediatamente in un inferno, un incubo, reso realtà dalle debolezze di una personalità, in fondo in fondo, non così granitica e tutta d’un pezzo. Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze.
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