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CRYPTIC WRITINGS - # 42 - Capitel V: Bergtatt - Ind I Fjeldkamrene - Ulver
18/04/2015 (3491 letture)
Pensare agli Ulver contemporanei, quelli di release come Messe I.X-VI.X e Terrestrials e ad essi confrontare una produzione black metal potrebbe sembrare ad alcuni, specialmente a coloro i quali si sono avvicinati alla band in un passato recente, un paragone con poco senso. Eppure, chi ha avuto la costanza di seguire il combo scandinavo lungo la propria lunga discografia, sa bene che da qui è partito tutto. Da una manciata di brani pubblicati in diverse fasi seppur in rapida successione, lungo alcuni degli anni chiave di questo genere in terra norvegese. Eppure, nonostante la presenza ingombrante di diversi nomi che in quegli anni seppero fare la storia (del black, ma anche di loro stessi), gli Ulver seppero ritagliarsi immediatamente una nicchia propria, privilegiata, discostandosi nettamente soprattutto nelle tematiche. Infatti, al posto di tentare la fortuna percorrendo la già affollatissima via dell’anti cristianesimo, la band decise di concentrarsi maggiormente su un aspetto più tradizionale, storico, popolare e folk della Norvegia, pur mantenendo per quanto possibile un’adesione al genere di riferimento. Il risultato è senza dubbio sorprendente, soprattutto se si pensa che, nel 1995, i componenti della band si aggiravano tutti sui vent’anni scarsi. Una volontà di voler fare la differenza, con uno stile proprio e lungi dall’essere conformista, che la band ha mantenuto e ancora dimostra di saper seguire, nonostante i cambiamenti di approccio e di scenario musicale.

CAPITEL V: BERGTATT - IND I FJELDKAMRENE

Così come lo strumentale di quest’album è stato ammirato da più generazioni di appassionati (di musica metal ma non solo) per la sua peculiarità, anche a livello contenutistico questo full-length di debutto si configura come una voce fuori dal coro. Come del resto in tutti i testi di Bergtatt, infatti, anche in questo capitolo finale l’ispirazione nella scrittura dei testi è, come ammesso dalla stessa band, largamente proveniente dall’epoca del regno di Danimarca-Norvegia, stato che tra il 1536 e il 1814 ha mantenuto uniti questi due paesi e le loro rispettive colonie. Se da un lato, dunque, la letteratura dell’epoca, combinata con una componente di folklore e superstizione medievali, ha fatto da chiara ispirazione nella creazione della storia che fa da filo rosso a questa release, ad essa è anche dovuta la scelta nel registro linguistico dei testi dell’album: non si tratta, infatti, di norvegese moderno, bensì di una lingua che non è altro che l’adattamento norvegese del danese, lingua ufficiale del regno, soprattutto nello scritto. Ecco quindi un contenuto che può sembrare (ed è) scritto in un norvegese obsoleto, quello che dal 1879 verrà comunemente chiamato riksmål, sviluppatosi, trasformatosi e standardizzatosi nei decenni fino all’acquisizione, nel 1907, dell’ortografia ufficiale del norvegese bokmål, ancora oggi la forma della lingua scritta più utilizzata in Norvegia.
Conclusa questa analisi preliminare, spostiamoci sul contenuto del testo. Nel precedente capitolo, Capitel IV: Een Stemme locker, la storia si era interrotta nel momento in cui la ragazza, tentata dalla voce dello spirito della montagna che nella boscaglia la circonda, confusa si interroga su cosa fare: seguire la voce che, con invitanti promesse, la vuole portare nell’ignota oscurità, oppure tentare di opporre resistenza, sola, nel buio della foresta?
La risposta, cruda, arriva fin dalle prime linee del quinto capitolo: la voce ha vinto sulla ragazza, che l’ha seguita, ritrovandosi rapidamente imprigionata e ad essa assoggettata, debole ed inerme, sulla via di quella montagna il cui spirito non le lascerà scampo, sulla via per quelle fjeldkamrene di cui già anticipava il titolo. Nessuna pietà, nessun rispetto, nessuna compassione le sono garantiti. Inoltre, si scopre che non è l’unica a condividere questo destino, come a far presagire che la tremenda sete di sangue della montagna faccia fatica ad essere appagata:

Pigen bad for sig
Det maatte ey hende hiælpe
Oc med det een nye Pige de røfvede
Foer med hende som de vilde
Oc ey som de skulde


La ragazza supplicò per la sua liberazione
non servì a nulla
E con lei rapirono anche un’altra ragazza
L’usarono a loro piacimento
e non come avrebbero dovuto


Il percorso da prigioniera della ragazza in un ambiente cupo e completamente sconosciuto continua: giunge al cospetto di un’imponente casa delle ombre, gelida come il restante paesaggio invernale già nell’iniziale Capitel I : I Troldskog Faren Vild. È ormai chiaro che nulla di ciò che di positivo la voce aveva promesso, si avvererà:

Til der, hvor Skyggernes Huus hun saae
Saa kolde oc evigblaae


Fino là, dove vide la casa delle ombre
Così fredda e dal blu eterno


Ecco la resa finale, il crudele destino della ragazza si compie. Lo spietato ed inumano spirito della montagna la afferra, la ingloba a sé, la fa sua senza pietà. Il sacrificio è compiuto, sulla montagna e la foresta tutta cala di nuovo la notte, coprendo la violenza di ciò che è appena accaduto e, come è facilmente immaginabile, preparando la trappola per la prossima vittima. Per la ragazza, non rimane pressoché più nulla da fare:

Fjeldet tog hende ind
Til sit haarde Graabergkind
Igien herskede Natten dend sorte
Oc nu er hun borte...


La montagna la condusse
fino alla sua granitica grigia guancia
La nera notte ritornò a regnare
ed ora lei è persa per sempre


Con un ultimo sforzo, con un finale quanto inutile colpo di reni, la ragazza cerca disperatamente di urlare, nella vana speranza che qualcuno o qualcosa possa interrompere questo rituale di morte e venire in suo soccorso, strappandola dalle fauci della montagna, da un destino certo e segnato. Ma ogni tentativo cade nel vuoto, la ragazza era e rimane lontana da tutti, sola. La disumanizzazione si fa completa, ella viene spogliata di tutte le sue caratteristiche umane e diventa solida, grigia, gelida pietra:

Hun skriger med sidste Pust aff siin Stemme
Een Epoche vi aldrig vil glemme
- Een forstened Krop


Gridò con l’ultimo filo di voce rimasto
Un momento che non dimenticheremo mai
- un corpo che si tramuta in pietra


Come il sole aveva saputo velocemente scomparire in Capitel II : Soelen Gaaer Bag Aase Need, lasciando sola la ragazza, come la notte era nuovamente, rapidamente calata subito dopo il suo sacrificio, come se nulla fosse accaduto, ecco approssimarsi a grandi passi anche l’alba di un nuovo giorno, il quale anch’esso, impassibile ed incurante di quanto appena accaduto, fa gradualmente la sua apparizione nella scena:

…Maanen er borte
Ocsaa Stiernerne ere sluknede


La luna è sparita
E anche le stele si sono spente


Amara e scorata è la chiusa di questa lunga storia. Laggiù, tra le montagne del nord, tra le gelide selve e gli oscuri pendii, laggiù nel cuore della natura più ignota, la montagna, rimane solidamente lì, con la sua sete di sangue, con il suo desiderio di morte, in attesa di nuove vittime da allietare con le sue voci fatue ed ammalianti e con cui poter giocare fino alla morte:

Hu! det regner og det blæs;
For langt nord i Fjellom
Djupt under Hellom
Der leikar det...


Oh! Piove e tira vento;
Nel lontano nord delle montagne
Nel profondo dei pendii
Laggiù loro giocano…


Si conclude qui il lungo viaggio di Bergtatt, prima parte di quel trittico black metal (di recente ricomparso sotto forma di un nuovo box set in edizione limitata, dal titolo Trolsk Sortmetall 1993-1997, a cura di Century Media) che con Kveldssanger e Nattens Madrigal - Aatte Hymne til Ulven i Manden (terzo in ordine di pubblicazione, ma composto subito dopo lo stesso Bergtatt e rimasto ‘nel cassetto’ fino al 1997, quando sempre Century Media ne decise finalmente l’uscita), ha saputo mantenere alto il nome degli Ulver, nonostante gli anni e, soprattutto, tutto quanto di più diverso la band di Kristoffer Rygg e soci abbiano voluto affrontare, sperimentare e pubblicare lungo più di due decenni di carriera. Come già detto, quanto proposto al giorno d’oggi dai “Lupi di Oslo” è davvero molto distante da quanto Bergtatt sia capace di raccontare e comunicare, ma ciò non significa che quest’album non sia in grado di ispirare e trasmettere ancora molto, sia ai nostalgici del periodo d’oro del black metal norvegese, sia a tutti coloro i quali, negli anni, ne sono rimasti stregati. Un ascolto che rimane, nonostante i vent’anni alle spalle, essenziale e ancora fortemente consigliato.



Mickey
Lunedì 20 Aprile 2015, 15.19.42
3
Un album che è uno dei miei punti cardine, mi ha fatto piacere leggere un crypric wrirings a proposito.
Cerberus
Lunedì 20 Aprile 2015, 10.47.03
2
Certamente il mio preferito della band, anche se ha poco senso mettere i loro album a confronto. Il finale acustico del cap V poi mi ha fatto venire i lacrimoni più di una volta! A chi è appassionato del tema dei testi consiglio le fiabe di Asbjørnsen e Moe, che sono meno crude ma danno una buona prospettiva sul folklore norvegese ottocentesco.
.:alekos:.
Lunedì 20 Aprile 2015, 8.57.40
1
Articolo particolare e molto interessante, dal quale si intuisce la profonda passione per l'universo culturale (e naturale) a cui si riferisce. Grazie per i molteplici spunti di riflessione suscitati.
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Bergtatt, da un'illustrazione di Andreas Fyrileiv
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